Halloween

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Quelle mani nei giorni successivi erano diventate una specie di fissa per Rebecca, dapprima per vedere la guarigione di quei segni, poi notando quanto spesso le unghie indugiassero dentro i palmi, senza darsi pace, sfregando, grattando, scavando.

Soprattutto nei momenti di ansia.

Buttava spesso l'occhio indietro per guardarla oltre la mole di Marco, in quei frangenti come i compiti in classe delle materie dove aveva più difficoltà, ma anche nelle interrogazioni quando portava le mani dietro la schiena e le dita spostavano i braccialetti per piantarsi nella pelle.

Aveva iniziato a osservarle anche la pelle dei polsi sotto il numero enorme di braccialetti e ninnoli che teneva sempre con sé. Non si rendeva conto ma la osservava spesso, a volte a lungo, più che altro quando il numero di persone presenti le poteva permettere di essere quasi invisibile.

Le prime due volte che era stata proprio sgamata a fissare l'amica si era giustificata buttandola sul «belli i braccialetti.» che per una che non ne portava mai poteva in qualche modo destare sospetto.

La terza volta Luna aveva semplicemente trascinato Rebecca nel bagno delle ragazze, facendo fatica a guardarla in viso, come se non si sentisse particolarmente fiera di quella cosa.

«Non è niente. Mi fa passare l'ansia, tutto qui».

Rebecca l'aveva guardata un po' interrogativa senza sapere nemmeno cosa dire, non voleva sembrare una che giudica, specialmente per quella cosa che intuiva avere un certo peso nella vita dell'amica, data la frequenza con cui gliela vedeva fare.

«Tranquilla, mi chiedevo solo se era tutto a posto».

«Oh si, è una specie di antistress, mi sento sempre un sacco ansiosa, non lo so nemmeno perchè. Sembra che quando lo faccio il dolore in qualche modo scacci l'ansia».

«E dopo ti senti meglio».

«Si esatto, mi capisci spero».

«Si, si, tranquilla».

Si, come no. Lei odiava il dolore, meglio l'ansia che una puntura o una ferita o qualcosa del genere, meglio l'ansia di una distorsione alla caviglia, di una abrasione, di un mignolo sbattuto nello stipite della porta.

Ma sapeva che Luna era una specie di collante in quel gruppo, lei e le sue continue battute irresistibilmente da terza elementare, i suoi continui selfie e video. Che saltava da una all'altra come le api nelle aiuole piene di fiori. Sapeva che criticarla o respingerla, poteva significare di nuovo la condanna ad avere come unico riferimento a scuola un ragazzo alle prese con i primi rudimenti di igiene personale. Aveva così fatto buon viso a cattivo gioco assecondandola in quel suo aspetto così bizzarro.

Altrettanto bizzarro le era sembrato il suo comportamento in un paio di occasioni quando aveva visto un ragazzo che conosceva e che aveva dichiarato essere un suo ex, con una voce tutt'altro che convinta. Quando si trovavano in biblioteca e lo vedevano passare per farsi una vasca lungo il porto, Luna era presa da una ansia palpabile, tanto che Rebecca sospettava rischiasse seriamente di farsela addosso. Era un tipo carino certo, magari anche più di carino, ma una reazione del genere da una ragazza non l'aveva mai vista: Luna prendeva per il bagno e ci si chiudeva dentro, uscendo molto più rilassata. Ma non gli si avvicinava, e rimaneva così, in una sorta di limbo anestetizzato dai giri in bagno. La Jasmy non sopportava quel teatrino:

«Luna, sei una bitch del cazzo, diteglielo anche voi, adesso noi lo andiamo a beccare».

«No, no, no. Se lo vado a beccare lui sa che lo voglio beccare».

La Jasmy gliel'aveva detta detta in faccia:

«E allora? E' quello che vorresti fare Lu».

«No, no, no».

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