Non sei più una bambina [TW: violenza]

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Domenica 24 luglio 2017

Non le sembrava di aver fatto nulla di male, così come non le sembrava mai di fare nulla di male se non passare qualche ora spensierata, facendo le sceme durante le "vasche" sul lungomare.

«Ai miei tempi sul lungomare non ci si andava di sera, le ragazze non stavano in giro da quelle parti, c'erano solo quelli che portavano a pisciare il cane e gli albanesi che rubavano le borse a quelli che si imboscavano in spiaggia. Si imboscavano, tu lo sai cosa vuol dire, vero?!».

«Abbiamo solo fatto un giro».

«Ma smettila! Hai tredici anni e vai a farti i giri con mezzo culo di fuori sul lungomare la sera al buio, chi vuoi prendere in giro?!».

Non voleva rispondere, voleva solo che finisse quella storia, quella combinazione infelice di madre al lavoro, lui sveglio e carico di Campari, e lei di ritorno da un giro che era il giro più normale del mondo il 24 luglio, con un caldo che si scoppiava anche alle undici di sera.

«Allora?! Chi vuoi prendere in giro?! Sto aspettando».

Pessima situazione: se stava zitta si sarebbe arrabbiato, se parlava chissà quale frase poteva disinnescarlo, e lei di certo non la conosceva, così aveva detto quella che a ben pensarci era la peggiore.

«Nessuno».

Altre volte l'aveva beccato arrabbiato per gli orari, o in misura minore per i posti dove andava. Ma era la prima volta che succedeva d'estate, in quell'estate, dove anche per lei stavano cambiando tante cose, come testimoniavano tutti i vocali che custodiva gelosamente sul cellulare che spuntava dalla tasca laterale dei jeans, si è vero, corti, ma come erano corti quelli di decine di ragazze della sua età in giro il 24 luglio.

«Con chi ti sei imboscata?».

La situazione si stava facendo pesante ed erano solo lei e lui, e lei non sapeva come uscirne, aveva cercato di ricacciare indietro le lacrime, riuscendoci in un primo momento.

«Ero in giro con le mie amiche, le solite, la Lucy, la Tamy...».

Non voleva avere la voce incrinata, esitante. Lui sembrava una pentola a pressione.

«Quelle che ti coprono, vi coprite a vicenda. Lei copre te, tu copri lei, voi coprite l'altra mentre si imboscano, vero? Hai visto un ragazzo».

«Non ho visto nessuno».

Con il cuore che si stringeva e negli occhi ancora semplicemente l'immagine di un sorriso.

«Non mi prendere in giro, ragazzina, vi credete furbe, ma siete ragazzine, capito?! Pensate di poter fare come vi pare, di prenderci in giro, di fare le brave bimbe qui e poi fare le puttanelle in giro».

Un lungo brivido l'aveva percorsa, certi termini non li aveva mai sentiti riferiti a sé stessa, e sentirsi chiamare così l'aveva profondamente colpita. Lui si era avvicinato, il fiato dolciastro e alcolico. Lei non riusciva a sostenere lo sguardo non perché dovesse nascondere qualcosa, ma perchè aveva paura di leggerci qualcos'altro che l'avrebbe ulteriormente ferita dopo quella parola che le rimbalzava per la testa. Sperava in cuor suo che arrivasse mamma, tagliasse il discorso con un sorriso svampito.

Ma non sarebbe arrivata, il turno era iniziato alle sette e prima dell'una non sarebbe tornata, ancora un'ora e mezza, impossibile vederla spuntare dalla porta.

«Dove siete andati a imboscarvi?!».

«Da nessuna parte!».

L'urlo era uscito per scaricare una tensione ormai insostenibile per lei, che aveva girato i tacchi per scappare in camera, ma non ci era arrivata, afferrata per un braccio. Aveva debolmente provato a liberarsi mentre lui aveva continuato a sbraitare sul suo comportamento, pestando sulla questione dell'essere andata con un ragazzo.

Poi tutto si era fatto rapido e confuso con lui che aveva parlato di pratiche che lei manco si sognava, vicino da mettere a disagio chiunque per guardarle le labbra alla ricerca di solo lui sapeva cosa, poi nella sua furia cercando di slacciarle gli shortini mentre lei iniziava a protestare tra le lacrime, urlando che non si doveva permettere di fare certe cose alla sua età con il primo coglione che passava.

La mano era affondata, senza il minimo riguardo. Non indagava, nonostante lui continuasse a dire «Adesso vediamo se è vero, adesso vediamo!», le faceva solo male, un bruciore e uno sconvolgimento che non aveva mai provato, che immediatamente le avevano provocato crampi alla pancia, mentre lui toglieva le dita e le annusava in cerca di chissà quale odore di lattice o di liquidi maschili, urlando e sbraitando sempre di più come un pazzo. Ricominciando con più furia, lamentando la furbizia di lei, che si era lasciata andare ad un pianto silenzioso, disperato.

Era come essere percorsa da terribili tentacoli che salivano bruciando tutto quello che incontravano, e cercavano ovunque, talmente ovunque che lei aveva sentito l'umiliazione fisica passarle dall'inguine alla testa, lo svilimento per i luoghi del suo corpo dove lui stava cercando prove che non esistevano la fece piangere di un pianto più profondo, le fece annebbiare i sensi tanto che quasi si sorprese della fine di quel supplizio, del ritirarsi di quella mano.

«Ecco, guarda che cazzo hai combinato, maledetta puttanella!»

Il compagno di sua madre si guardava con isteria l'erezione incontrollata che aveva fatto uscire dai calzoncini, così l'aveva lasciata lì, andando in bagno a finire tra una imprecazione e l'altra, tutte indirizzate a lei e al suo corpo.

Luna si era trascinata in camera, in preda ai crampi ed al pianto, incurante delle notifiche al cellulare. Stava male, il suo corpo di cui era così felice solo due ore prima ora era un campo di battaglia che lanciava messaggi di dolore, lei non riusciva a pensare a nulla che potesse rimediare a questo.

Aveva piantato le unghie nel cuscino, poi i denti nello stesso cuscino, aveva provato a stringersi le caviglie mettendosi a uovo ma la sensazione di dolore non passava, disperata era stata sul punto di urlare e aveva stretto le unghie alle caviglie fino a piantarle nella carne.

Il dolore era scemato verso le caviglie, era lancinante ma era lì, non era più ovunque. Aveva continuato a stringere fino a che era riuscita a rimanere cosciente, fino al sopraggiungere di un pesantissimo sonno.

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