"Perché mi aiuti?"

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Caleb fece sprofondare ancor di più la lametta sul proprio polso. Era convinto di essere solo in casa, si sbagliava. E lo capì quando sentì la madre urlare per la visita del sangue. Era successo ancora.

Caleb aveva 11 anni. Non aveva nessuno. A breve non più. Si stava rasando la testa, i capelli avevano iniziato a ricrescere un po. Fu proprio quando finì, che guardò la lametta con occhi diversi. Si chiese cosa si provasse a sentire dolore puro sulla pelle, vedere sangue colare... Sentirsi vivo. Dolorante, ma vivo. E prima che potesse realizzarlo, si stava già passando la lametta sul polso. La pressione era poca, a malapena si graffiava. Poi vide rosso di colpo. Aveva premuto troppo. Era stato un incidente? No, probabilmente no. Sospira. Continua. Sente parecchio dolore, eppure gli piace. Gli piacciono gli schizzi di sangue. Va bene. Va bene così. I tagli a mano a mano aumentavano. Doveva smettere? Si, doveva. Però non voleva. E continuò, finché non sentì un urlo. Lasciò cadere la lametta, ma non ebbe la forza di alzare lo sguardo. Di guardare sua madre. Non poteva. Non dopo questo.
«C-Caleb...»
«Mi dispiace»
«Diamine... Cavolo... L-Le bende»
Subito sua madre cercò delle bende e il disinfettante, poi lo medicò. Lui rimase in silenzio.

«Mi dispiace»
Le stesse parole. Lo stesso significato. La stessa bugia.
«N-Non è vero, Caleb... L-Lo so»
«Le bende e il disinfettante sono nel cesto»
La madre prese le bende e il disinfettante, poi lo medicò. Non si dissero nulla. E Caleb non bloccò la madre, quando essa decise di andare a rifugiarsi in camera. Si voltò solo, ritrovandosi Joe davanti.
«Sai che non vuole che ti tagli. E nemmeno io» gli disse l'amico.
«Lo so, lo so. Però non posso smettere. Anzi, no. Non voglio smettere»

Caleb andò a scuola, stranamente da solo. Non voleva Joe, e Joe non c'era. Purtroppo per lui, si scontrò con Jude. O fu il contrario? Il perfettino si era scontrato con lui.
«Stai attento» gli disse brusco Caleb, sorprendendosi di incrociare due occhi rossi. Due occhi rossi velati da lacrime trattenute.
«Scusa» disse solo Jude, provando ad andarsene subito. Probabilmente era successo qualcosa a scuola, dato che fuggiva da lì. Istintivamente, il punk gli prese il polso e lo bloccò.
«Che è successo?»
Caleb si sorpese, la sua voce era troppo dolce per i suoi gusti. Da quando sapeva essere così gentile? Non lo sapeva. Ma probabilmente fu proprio per via di quel tono, che Jude gli spiegò la situazione.
«Dei ragazzi per scherzare mi hanno levato gli occhialini. Gli occhi rossi sono rari. Hanno iniziato a parlare, ma a mano a mano le parole sono diventate mormorii...»
Caleb gli lasciò il polso, e Jude non si mosse.
«Che tipo si mormorii?»
Il rasta non rispose, il punk capì. Erano gli stessi mormorii che sentiva lui, quando passava. Quelli di chi sparla, di chi inventa e chi comunica male. Quelli che diventano pugnali.
Caleb si voltò verso la scuola, poi guardò nuovamente Jude. Infine gli prese la mano e iniziò a trascinarlo lontano.
«Caleb...? Dove stiamo andando?»
«Lo scoprirai quando arriveremo»

«Perché mi aiuti?»
Il piccolo Caleb guardò l'amico con curiosità. Non gli dispiaceva che Joe si preoccupasse per lui e lo aiutasse quando serviva. Ma non capiva perché lo facesse.
«Perché non dovrei?» rispose Joe, confuso.
«Che ci guadagni?»
L'arancio non rispose, si mise invece a pensare.

Jude si guardò intorno. Caleb lo aveva portato al campetto al fiume.
«Perché siamo qui?» chiese al punk che si strinse le spalle.
«Quando sto male vengo qui. Ed è lontano dalla scuola. Quindi perché no»
Jude accennò un piccolo sorriso e si sedette vicino al fiume, specchiandosi e fissando gli occhi che tanto odiava. Caleb lo notò. Pensò a come distrarlo. E alla fine fece la cosa più infantile che poteva fare. Lo schizzò con l'acqua. Preso alla sprovvista, Jude cacciò un urletto dato l'impatto dell'acqua gelida contro la sua faccia. Guardò male l'altro ragazzo, poi ghignò leggermente e lo schizzò di rimando. Fu così che i due finirono col bagnarsi tutti, ridendo. Alla fine si misero semplicemente stesi ad osservare il cielo, aspettando che il sole finisse di asciugarli. Jude si voltò verso Caleb.
«Perché mi aiuti?»
I ricordi tornarono dentro Caleb, ma stavolta era lui al posto di Joe.
«Perché non dovrei?»
«Che ci guadagni?»
Caleb ricordò le parole dell'amico. Ora si che le capiva. Anzi, forse le percepiva addirittura in maniera diversa. Con un'intimità diversa da quella che aveva con l'amico.
«Il tuo sorriso»

«So cosa ci guadagno!»
Caleb cadde dal ramo, data la sorpresa improvvisa delle parole urlate dall'amico.
«Ah si? E cosa?»
«Il tuo sorriso!»
«Eh?»
Il piccolo Caleb di 6 anni lo guardò confuso.
«Dopo che ti ho aiutato, accenni un sorriso o sorridi per bene. Ma sorridi davvero. Non per cortesia o come quando fingi che qualcosa ti piaccia. E non ti ho mai visto sorridere con gli altri bambini. È raro. E significa che ti piace avermi come amico. Io ti voglio bene! Ti aiuto perché guadagno la consapevolezza che hai bisogno di me come io di te. È per questo che siamo migliori amici, no?»
Nonostante Joe fosse piccolo e avesse solo 6 anni, come lui, Caleb l'ha sempre ritenuto più grande di molti adulti. E ne aveva la conferma ogni volta che vedeva come capisse così bene la vita. E nonostante entrambi la capissero, Joe riusciva sempre a fargli credere che forse non era orribile come pensava.
«Si. È per questo che siamo migliori amici»

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