Stava cacciando ormai da diverso tempo, ma le prede gli continuavano a sfuggire sotto il naso.
Era distratto, assorto in altri pensieri.
Neanche l'ombra del vero, freddo predatore che terrorizzava quelle terre.
Terre in cui, persino orsi e puma si addentravano malvolentieri, solo se spinti da una forte necessità.
Arreso all'evidenza, l'Alpha decretò che non avrebbe concluso nulla in quelle condizioni e decise di smettere, prima di diventare lo zimbello degli scoiattoli.
"Maledette bestiacce!" pensò imbufalito mentre tornava al trotto verso la tana, pensando a come comportarsi con l'omega.
Si logorò per tutto il viaggio di ritorno, tentando di trovare una soluzione a quella situazione, non guardò neppure la strada che imboccò: quei boschi erano casa sua; aveva il pilota automatico.
All'improvviso si fermò, un pensiero inconscio bucò prepotentemente la coltre di preoccupazione, una traccia!
Una traccia che non avrebbe dovuto essere lì, affatto!
Un'ira incontrollabile gli montò dentro al petto.
Si lanciò all'inseguimento, scendendo a perdifiato giù dal versante della montagna, masticando un notevole quantitativo di imprecazioni.
Dopo pochi chilometri, sentì l'odore dell'aria cambiare, farsi più ricca di tracce lasciate da altri predatori.
La consapevolezza lo assalì: non erano più nel suo territorio.
Accelerò fino al massimo delle sue possibilità, la fatica della corsa era totalmente in secondo piano.
Ira e panico divennero un tutt'uno nel suo cuore, rendendolo cieco e sordo ad ogni distrazione, trasformandolo in una macchina letale scagliata contro un unico obiettivo: Milo.L'impatto fu così violento, che sbalzò il minore di diversi metri, facendolo ruzzolare un paio di volte prima di fermarsi a pancia in su, con i denti del suo compagno alla gola.
Poté sentire la lotta interiore dell'Alpha che cercò di domare la rabbia.
Non gli ci volle molto, in realtà; non avrebbe mai potuto uccidere il suo omega.
Ma avrebbe voluto farlo, per punirlo della paura che gli aveva fatto provare mettendosi in pericolo e del dolore che si era mescolato alla rabbia, quando era scappato via da lui.
Rabbia e dolore che ancora annebbiavano la sua mente.
Lasciò la sua gola e con un colpo per niente delicato lo voltò, riafferrandolo per la collottola, affondando i denti molto più del necessario per sollevarlo.
Il piccolo guaì per il dolore ma rimase immobile, traendo le zampe e la coda al petto.
Il maggiore cominciò ad inerpicarsi su per la montagna con il cucciolo tra le fauci. Tenne le orecchie tese per captare qualsiasi minaccia, continuando a far saettare lo sguardo da una parte all'altra.
Dopo una decina di minuti, senza alcun preavviso, si fermò e lasciò andare l'omega che rovinò a terra con un piccolo tonfo.
Dopo aver lanciato uno sguardo di fuoco all'altro, rannicchiato davanti a lui con le orecchie basse, intraprese la via di casa.
Non si girò per accertarsi che il piccolo lo stesse seguendo: avrebbe fatto meglio a farlo!Infatti, non appena si mosse, il più piccolo iniziò a seguirlo stando sempre ad una spanna di distanza dalla punta della coda del maggiore, tanto che, dopo pochi minuti, gli venne il fiatone a furia di mantenere il passo dell'altro, ben più lungo e allenato per l'alta montagna. Nonostante ciò, il minore continuò a seguirlo, per cercare di non farlo arrabbiare ulteriormente.
Una nuova sensazione si fece largo nel cuore di Milo: senso di colpa. Non poteva ancora percepire lo stato d'animo del suo compagno, visto che ancora non erano legati, ma vedeva la rabbia e l'agitazione in ogni suo movimento: i denti digrignati, il movimento a scatti della coda, le orecchie attente, fino alla paranoia. Ed era colpa sua.
Era tutta colpa sua se il suo Alpha stava male.
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Andare via così! E per andare dove? Dove sarebbe mai potuto andare da solo? Il suo posto era accanto al suo Alpha, che lo volesse o meno, e se il maggiore non lo avesse voluto lo avrebbe rifiutato. Ma doveva essere l'Alpha a decidere. Continuò a crogiolarsi nella vergogna per tutto il tempo e nemmeno si accorse di essere arrivato alla tana. Vide il maggiore davanti a se trasformarsi, stava per farlo anche lui ma la voce del più grande lo bloccò.
"Resta lì!" La sua voce, fredda ed intransigente, vibrava di rabbia a stento mantenuta.
Entrò nella tana a passo marziale lasciando l'omega fuori ad aspettare. Pochi minuti dopo uscì portandosi dietro una pesante catena. Il piccolo iniziò a tremare per la paura. Fece qualche passo indietro, per allontanarsi ma un'occhiata del maggiore lo fulminò sul posto. Rimase a fissare il lupo color sabbia ancora un secondo, per essere sicuro che avesse recepito il messaggio, poi si avvicino ad un albero al limite della foresta e legò un capo della catena al tronco. Dopo averla fissata, si avvicinò al piccolo che, terrorizzato, teneva le orecchie e gli occhi bassi, la coda tra le gambe e la gola esposta in segno di sottomissione.
Si inginocchiò davanti al minore e levò una mano, d'istinto il cucciolo chiuse gli occhi, ma, invece che colpirlo, il maggiore gli tenne ferma la testa mentre con l'altra mano gli fece scorrere qualcosa sul muso.
Quando riaprì gli occhi, il maggiore si era già alzato e si stava avviando dentro la tana.
Fece per seguirlo ma appena si mosse qualcosa tintinnò dietro di lui: la catena!
Lo aveva messo alla catena!
Il piccolo non ci poteva credere, neanche i cani venivano legati così. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Provò ad entrare in casa ma la catena gli permise di arrivare solo davanti all'uscio.
Dentro la tana il maggiore si muoveva avanti e indietro sistemando le cose, senza degnarlo di uno sguardo.
Guaì forte per richiamare il compagno che lo ignorò volutamente.
Allora provò a grattare sul legno della parete per ottenere la sua attenzione e per un brevissimo momento pensò di esserci riuscito.
L'Alpha si voltò per guardarlo, per incenerirlo con uno sguardo, poi si avvicinò alla porta e la sbatté in faccia al piccolo lupo.
Disperato, iniziò a grattare sulla porta, mentre i suoi guaiti si fecero sempre più sconnessi e impanicati. Ignorato totalmente, abbandonato, rifiutato.
Aveva cercato di scappare da tutto questo per non doversi più sentire in quel modo e invece, si ritrovava legato ad una catena e si sentiva peggio di prima.
In quel momento i sensi di colpa diventarono cosi lancinanti da far male, non si capacitava di come avesse potuto essere tanto stupido da far arrabbiare il suo compagno così profondamente, da spingerlo a una punizione tanto severa.
Avrebbe dato qualunque cosa per poterlo raggiungere, abbracciarlo e implorare il suo perdono.
Più dell'idea di essere stato allontanato, lo straziava il pensiero di aver ferito il suo compagno consapevolmente, di meritare quella punizione. Le lacrime divennero un fiume in piena.