Quando Max entrò in cucina trovò, come sempre, le ciotole sporche nel lavabo e briciole su tutto il tavolo da pranzo. Papà dove sei?>>Max cercò dei segni che indicavano che suo padre fosse stato lì, ma almeno in cucina e in salotto non trovò nulla. La ragazza con passi pesanti salì al piano superiore, dove il rumore soffuso di un televisore proveniva da una stanza, quella dei suoi genitori. Mentre si avvicinava, pregava che suo padre non fosse riverso sul letto svenuto o peggio, sul pavimento morto. Quando poi entrò, si accorse che suo padre era sulla poltrona che russava davanti ad un episodio de "I Robinson". Così tranquillo sembrava quasi un'altra persona, le rughe erano meno marcate; specialmente attorno agli occhi a mandorla. Lo osservò meglio, e sulle guance vide i solchi che le lacrime vi avevano lasciato, gli fece pena. Suo padre era una brava persona, forse fin troppo, ma non sapeva gestire le situazioni più complicate; a volte Max provava ad aiutarlo, ma era solamente una ragazzina e la maggior parte delle volte finiva col piangere nella sua stanza. <<Papà svegliati, sono tornata. Svegliati su.>>, il padre aprì lentamente gli occhi, che, come al solito, Max trovò arrosati. <<Aiko, sei tu?>>, il tono del padre era speranzoso, come ogni volta in cui era ubriaco e il suo sguardo offuscato trovava il volto della moglie in quello della figlia; e, come ogni volta, il cuore di Max perdeva un battito. Con tutta la sicurezza che aveva in corpo, Max gli disse << No papà, sono Maxine. Hai pranzato oggi?>>; il padre scosse la testa mentre si stiracchiava. La ragazza prese per mano il padre e lo guidò giù in cucina. In silenzio il padre si sedette sulla sedia vicino al tavolo e guardò la figlia muoversi vicino ai fornelli. <<Sai Maxine, mi dispiace. Avrei voluto darti una vita migliore, era quello che io e tua madre speravamo.>> Max si voltò appena verso il padre mentre gli preparava dei maccheroni al formaggio. Poi il padre continuò <<Sai perché ti chiami così, Maxine??>>, la ragazza, presa alla sprovvista da quella domanda, si voltò di scatto e strinse forte lo straccio che teneva in mano. Lei scosse appena la testa e il padre continuò con il suo pseudo-monologo <<Tua madre ed io abbiamo sempre sognato l'America, tutto quello che sentivamo sugli Stati Uniti era grandioso. Volevamo vivere il nostro sogno americano, così decidemmo di mettere da parte quanti più soldi possibile. Risparmiavamo da quando avevamo 17 anni, la tua età. Volevamo sposarci qui, magari a New York o a San Francisco, ma non avevamo abbastanza soldi; quindi ci sposammo in Giappone, eravamo felici ma ci mancava ancora qualcosa: ci mancava l'America. Dopo quasi due anni, tua madre ha scoperto di aspettare te; a quel punto dovevamo decidere in fretta: aspettare che tu nascessi o partire immediatamente. Decidemmo di partire prima poiché potevamo avere problemi sul fatto che tu fossi nata sul suolo Giapponese. Impiegammo vari mesi a predisporre tutto per il viaggio, ma ovviamente ci bloccarono quasi subito. Fummo costretti a rivolverci ad un uomo che faceva traversate illegalmente...>> a quelle parole Maxine trattenne il respiro, suo padre non gli avevamo mai raccontato l'intera storia, e ora che lo stava facendo, non era sicura di essere pronta a sentirla. Max si sedette di fronte al padre e, vedendo i suoi occhi annacquati, gli prese la mano. Lui gli fece un flebile sorriso che lei ricambiò, questo lo spinse a continuare. <<Passarono altri due mesi e tua madre
era quasi al termine della gravidanza, eravamo quasi arrivati e iniziai a pensare che oramai il nostro sogno si fosse realizzato. Ma come sempre, il peggio arrivò. Tua madre iniziò ad avere le doglie, e dopo cinque ore le si ruppero le acque; doveva partorire un mese dopo ma non tutto va come lo si era programmato. Nascesti tu, eri prematura ma eri bellissima. Eri così piccola che ti tenevo in una sola mano. Io e tua madre decidemmo di non darti un nome giapponese, ma di chiamarti come una vera americana, per dare un taglio netto con la nostra vita in Giappone. Eravamo felicissimi. Tuttavia, arrivati, ci separarono; persi di vista tua madre, c'erano soldati ovunque. Non la trovai mai più. Dopo poco mi dissero che l'avevano rimpatriata, ci sto ancora male Maxine, lo giuro. L'unica mia consolazione è che sono riuscito a portarti con me. All'inizio pensavo che avremmo potuto farcela anche senza tua madre, ma a quanto pare non sono stato, e non sono, così forte. Mi dispiace Maxine, spero che un giorno tu riesca a perdonarmi.>>. Quando il padre prese finalmente un respiro, le aveva ancore le guance rigate dalle lacrime. Aveva sempre pensato che suo padre avesse fatto molti sacrifici per arrivare qui in America, ma non avrebbe mai pensato a tutte quelle peripezie. <<Non hai nulla da farti perdonare papà, è solo grazie a te se ora vivo qui in America e sono felice. Ti sarò sempre grata, sempre papà. Ma perché ogni volta che esci chiami sempre quella donna?>>, suo padre la guardò sott'occhi <<Perché vedevo che tutti tuoi amici avevano una normale famiglia con un padre e una madre, quindi volevo che non ti sentissi in imbarazzo.>>. Max rimase sorpresa e con il cuore che le faceva male. Suo padre aveva fatto tanto per lei e mentre scoppiava di nuovo a piangere, abbracciò suo padre forte, ringraziandolo altre mille volte. <<Ce la faremo papà, noi due da soli staremo bene, te lo prometto.>>
DOPPIO AGGIORNAMENTO, ANCHE SE QUEST'ULTIMO CAPITOLO E' UN PO' CORTO. SPERO CHE QUESTI DUE CAPITOLI SIANO DI VOSTRO GRADIMENTO. DAL PROSSIMO CAPITOLO SI RITORNA AL "PRESENTE".
XOXO.

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1987
Teen FictionGli anni 80, selvaggi, caotici, imprevedibili ed a volte pericolosi. Tre amici che negli anni 80 ci sono dentro fino al collo, e che per non affogare dovranno fare di tutto. Alex: come una moneta che ha due facce, da una parte una ragazza dolce e a...