Oggi è la festa del papà, una delle feste un po' più faticose da reggere per te, una delle giornate un po' più dure da affrontare. Una di quelle in cui tu senti la necessità di dover lasciare andare qualcosa che puntualmente non lasci andare perché sei sola, perché non c'è nessuno a tenerti. Non ce la fai. E allora tieni tutto per te, ti trattieni e cerchi di ignorare.
Ma non oggi. Non ha importanza se oggi è la giornata che tua figlia deve dedicare al suo papà, se lei dovrebbe trascorrere il tempo con tuo marito. Non importa, hai deciso di portarla qui, da me, con te approfittando della sua assenza in casa per un po' di ore.
Ti ho sfottuto un po' in merito, qualche ora fa, tramite messaggio.
《Ricorda di fare gli auguri a papà Ben》
《Ella li ha già fatti》hai risposto frettolosamente e freddamente prima di ritrovarti qui, senza alcun preavviso, con la tua bimba che sgambettava sul vialetto per arrivare da sola, sulle sue gambine, alla porta di casa mia e tu dietro di lei a tenerle le manine per far attenzione che non perdesse l'equilibrio per poi cadere.
Mi sono abbassata alla sua altezza, piegandomi sulle ginocchia, le ho aperto le braccia e le mani accogliendola con un sorriso, e solo quando hai visto che le mancava qualche passo per raggiungermi, l'hai lasciata sola per venire verso di me.
"Tia, tia"
L'ho presa in braccio e mi sono rialzata mentre mi stringeva le braccine al collo. Le ho lasciato qualche bacio sui capelli ricci e biondi, sul visino fino a farle il solletico. Tutto sotto il tuo sguardo amorevole e un po' spento, che è a tratti assente.
Ti ho fatto spazio per farti entrare. Ti sei fatta largo nella mia casa e ti sei chiusa la porta alle spalle quando hai visto che stavo per farlo io.
Ho accompagnato Ella sul divano dove ad aspettarla c'era il suo amato peluche dei minions, quello che le aveva regalato Natasha appena aveva saputo che sarebbe venuta al mondo, e poi mi sono voltata verso di te che ci avevi seguite.
"Ciao" mi hai detto.
E non è mai un buon segno quando mi saluti con un semplice 'ciao'. Quando lo fai vuol dire che qualcosa non va.
Hai accompagnato quella parola con un sorriso lieve, accennato. Avresti voluto sorridere come fai di solito, mostrare i denti, ma oggi ti esce un po' impossibile. E so il perché, me lo ricordo.
Ti guardo per un po' prima di fare qualche passo verso di te per avvicinarmi di più e abbracciarti. Ed ecco che le consapevolezze diventano realtà. La consapevolezza che saresti crollata, che non aspettavi altro che qualcuno capisse senza che tu parlassi e ti facesse da spalla su cui piangere, da colonna a cui appoggiarti mentre lentamente ti lasci andare. Prendono tutte vita in un attimo, nell'istante in cui le mie braccia incontrano il tuo collo. Mentre il tuo viso si nasconde nel mio collo per nascondere le lacrime che scendono lente, rigandoti il viso e terminando sulla mia pelle. Mentre le tue mani stringono la mia maglietta in preda a quel dolore che è ancora troppo vivo dentro di te e che non ti abbandonerà, che oggi ti porti un po' più dietro degli altri giorni.
"Mi manca"
Ti limiti. Non sai cos'altro dire. Non hai mai esternato i tuoi sentimenti, non li hai mai palesati così tanto, perché tu non sei così, perché tu non lo fai. Preferisci tenere alzate le tue barriere perché così è più facile restare al sicuro, è più facile non esser conosciuti nella propria totalità e poter esser colpiti poi. Eppure oggi l'hai fatto, oggi hai lasciato andare quelle parole che, forse, ti tenevi dentro da troppo tempo e che non hai mai detto ripetendoti dentro di te che non era necessario farlo.
Ed io non so cosa dirti. Forse è bene non dire nulla. Forse è bene lasciare che queste parole non abbiano bisogno né di un mio 'lo so' né di qualunque altra parola che risulterebbe inutile e superflua perché non te lo potrà mai riportare indietro.
Così ti stringo solo più forte, come se potessi strapparti via quel dolore, prenderlo tra le mie mani e tenerlo tra di esse rendendolo mio pur di liberartene. Come se potessi ripulirti da questa sensazione lacerante che non fa altro che dilaniarti.
Dopo un po' ti tiri su, ti porti le mani alle guance per scacciare le lacrime ma ti fermo. Voglio farlo io. Lo faccio io.
Ti guardo negli occhi che hai ancora umidi mentre le mie mani restano sulle tue guance leggermente arrossate, pronte ad asciugare qualunque altra lacrima voglia scendere. Accenno un sorriso prima di lasciarti un bacio sull'angolo della bocca, un po' per rispetto di te, un po' per rispetto di Ella che è abituata a vedere te ed il suo papà compiere questi gesti. Eppure non ti basta, quel bacio così non ti va bene. Poggi una mano sul mio collo e mi baci. In maniera lenta, passionale, un po' come faceva Alex con Piper però più intensamente. Ti stacchi dopo poco, quando senti la tua piccola bimba chiamarti per la seconda volta.
"Mamma"
Ti abbassi alla sua altezza, sedendoti per terra per giocare con lei e prestarle le attenzioni che ti chiede, che reclama perché è ancora piccola.
Inizi a giocare con lei con i pochi giocattoli che le avevo comprato per occasioni come queste, occasioni in cui tu sei qui con una delle 'cose' più belle ed importanti della tua vita che hai deciso di condividere con me.
E mi perdo a guardarvi, insieme, come spesso mi succede di fare. Incamero tutti i vostri momenti cercando di non perdermene uno, cercando di vivermelo a pieno per quanto mi sia possibile.
Mi dici di sedermi con voi, a terra, accanto a te, e la piccola batte le manine contenta e ride per nulla mentre faccio parlare il suo pupazzo che, ogni tanto, le avvicino sfiorando il pancino per farle il solletico.
Ci osservi attentamente. Sposti lo sguardo da me a lei e viceversa.
"Perché mi guardi così?"
"Come ti sto guardando?"
"Come se stessi pensando a qualcosa"
Distogli lo sguardo da me, guardi a terra mentre accenni un sorriso. E mi basta questo gesto per sapere di avere ragione.
"Non pensavo a niente"
"Non è vero"
"Lo giuro"
Ed io non ti credo.
So che non è così.
So che stavi pensando a qualcosa.
Voglio sapere cosa. E se non me lo dirai di spontanea volontà, ti costringerò.
Non ci sono segreti tra noi.
"Ella, che dici di fare il solletico alla mamma?"
I tuoi occhi verdi si spostano velocemente su di me. Mi fulmini, vorresti incenerirmi.
Dici sempre che non ti piace quando le persone ti fanno il solletico, che lo odi, ma non mi hai mai detto il perché. Credo di non avertelo mai chiesto, ma lo farò.
In un attimo le mie mani si intrecciano con quelle piccole di Ella per farti il solletico. Cadi distesa a terra, con la schiena al pavimento, mentre cerchi invano di prendere le mie mani che vagano sui tuoi fianchi col solo scopo di farmi terminare quella gradevole tortura, la stessa che ti fa ridere così tanto da impedirti di respirare e lasciarti senza fiato. La tua risata rieccheggia ancora per la stanza mentre le tue mani tengono strette le mie che si son lasciate trovare da te.
Mi guardi intensamente mentre cerchi di riprendere fiato, lentamente.
"Ti odio"
"Non è vero"
Dici che so che odi il solletico e, per essere credibile, fai la finta arrabbiata, però non ti riesce. Ed io rido.
"Papà me lo faceva sempre da piccola, lo ha fatto finché non se n'è andato. È stata la penultima cosa che ha fatto con me prima di morire. L'ultima è stato un bacio tra i capelli, sulle tempie"
Guardi le tue mani che sono ancora sulle mie e che inizi a torturare. Voglio chiederti di raccontarmi di quando lui ti faceva ridere, di quando ti faceva sorridere con poco. Voglio chiederti tante cose di quel periodo, ma, quando provo a parlare, il mio telefono, che è dietro di me, inizia a squillare.
"È papà"
Ti dico indecisa se rispondere ora o richiamarlo dopo.
"Fagli gli auguri da parte mia"
E l'hai capito.
Ancora una volta hai capito cosa succede nella mia testa senza la necessità di dire nulla.
"Faglieli tu"
E cerco di farti capire che fai parte della famiglia da tempo, ormai. Cerco di farti capire che loro sanno, e non ti giudicano per la tua scelta, ma, al contrario, ti apprezzano.
Apro la chiamata.
Ti agiti. Ti prendo la mano, la stringi.
Stai calma.
Gli facciamo gli auguri insieme.
Ci ringrazia, ti ringrazia.
Dice di essere contento di sentirti.
Ti rilassi.
Ti senti a casa, non ti senti giudicata. Sei tranquilla.
Ti chiede di Ella. Ti dice che gli parlo spesso di lei, di te.
Tu sorridi, non te l'aspettavi.
"Davvero?"
"Sì. Spero che tu venga a trovarci a Boston e che porterai quella bellissima bimba. Sai, Taylor ha ragione quando dice che ti assomiglia tanto"
Ridi divertita. E vorrei sapere se ridi per quello che dice mio padre o per il fatto che immagini me a parlare di voi per ore.
Gli prometti che andrai a trovarli in un modo o nell'altro, che le occasioni non mancheranno. E mentre lo fai, mi guardi, come se lo stessi promettendo anche a me.
Ti sorrido come risposta, so che lo farai, ti credo.
Chiudiamo la chiamata, tu torni a giocare con tua figlia che, stanca, si è seduta sulle tue gambe ed è accoccolata al tuo petto con il ciuccio in bocca.
Mi chiedi scusa.
Ti chiedo per cosa tu ti stia scusando.
"Per aver pianto, per esser crollata"
Ti dico che non devi chiedere scusa.
Amore mio. Non devi chiedere scusa perché crollare e piangere per la nostalgia di qualcuno che rappresenta tanto e significa ancora tutto, è umano.
Ti dico che è normale farlo, che va bene, che è giusto. Ti dico che non è sano non farlo.
Ti dico che sono felice che tu l'abbia fatto con me e non con qualcun altro.
"Anche i forti hanno il diritto di crollare"ciao a tuttiiiiii!!!! Questo è un capitolo un po' particolare secondo me, mi piace definirlo "speciale". Oggi è la festa del papà e, proprio per questo, ho deciso di postarlo anche se a distanza di un anno dalla stesura, ma secondo me meritava di essere pubblicato. E nulla.... spero che vi piaccia, magari fatemi sapere che ne pensate. Un bacio a tutti e buona festa del papà❤
A prestooooooooo🌹
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Arriverà la fine, ma non sarà la fine ~Laylor
Historia CortaNella vita serve coraggio, tanto. Coraggio per prendere decisioni. Coraggio per lasciar andare la persona che ami. Coraggio per affrontare una vita che non ti appartiene. Coraggio per rinunciare. Ma, soprattutto, serve coraggio per non lasciare anda...