Empire state building

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A volte penso che mi piacerebbe avere una macchina del tempo, un qualcosa che non è ancora stato inventato perché nasconde meccanismi troppo complessi che risultano ancora sconosciuti, ma che tutti vorrebbero. Tutti desideriamo tornare indietro per rimediare a degli errori, a degli sbagli commessi a causa dell'averci riflettuto poco o addirittura per niente, perché troppo precipitosi.
Pensano che se si costruisse si potrebbe finire in un mondo parallelo perché ciò cambierebbe l'ordine degli eventi o li stravolgerebbe completamente. E forse è proprio questo che cerchiamo, no? Stravolgere gli eventi che sono avvenuti, ribaltarli in modo tale da poter rimediare. Chi non lo farebbe? Farebbe comodo a tutti, me compresa. E forse anche a te.
Ci pensi mai a voler tornare indietro nel tempo?
Forse si, o almeno credo. Lo penso spesso.
Lo faccio quando ripenso a tutto ciò che hai reputato "errore".
Lo faccio quando ripenso all'espressione dei tuoi occhi quando ne parli.
Lo faccio quando ripenso alla sofferenza che spesso ti porti dentro a causa delle scelte sbagliate.
Ed ora lo faccio anche io, ci penso anche io mentre sono seduta qui, sul divano di Natasha, con le gambe rannicchiate, la schiena contro lo schienale, il telefono tra le mani a fissarne lo schermo spesso e poi digitare velocemente per rispondere ai messaggi.
"Se non si scolla da quello schermo non si godrà neanche una mattonella di quell'edificio"
Rido.
Lascio che mi coinvolga nella sua risata mentre tenta di leggere la conversazione.
Sa che sei tu. Sa che non ti stacchi dallo schermo del telefono e continui a parlare con me. Lo sa perché è quello che faccio anche io: resto col telefono in mano senza mai lasciarlo, come se in qualche modo potesse abbattere le distanze che risultano abissali benché siano fisicamente minime.
Dopotutto sono solo ad un paio di metri di distanza da te.
Mi stai scrivendo da questa mattina. E sì, lo so che avevo detto che avrei preso le distanze anche se tu non ne sai niente, so che me l'ero ripromesso, so che mi faccio del male, ma ho deciso di allontanarmi gradualmente, in maniera lenta e delicata, un po' per te che devi evitare qualunque tipo di stress, un po' per me che sto molto bene nel mio autolesionismo che è la mia comfort zone.
Dici che sei in ansia. Me lo ripeti dal momento in cui ti sei svegliata e alzata dal letto.
Dici che sarà un'esperienza nuova, diversa, ma che ti sembra strana.
Ti senti strana e non sai il perché, non sei capace di distinguere se sia in meglio o in peggio.
Non riesci a capire.
Penso che sia normale, oggi rappresenterai uno dei volti di un qualcosa che ha una grande responsabilità. Tu hai una grande responsabilità, l'hai sempre avvertita così. Una responsabilità.
Dici che sei quasi arrivata lì.
《È bellissimo Tay, sembra più alto della Torre Eiffel》
Rido.
《Addirittura?》
La tua amata Torre Eiffel.
Quella un po' tua. Quella ormai diventata un po' nostra.
Quella su cui mi hai portato una sera di qualche anno fa, durante il tour di presentazione della serie.
Quel giorno avevamo delle interviste da fare, nel pomeriggio, in un edificio nelle vicinanze.
Ricordo che prima di iniziare mi sono avvicinata al muretto del terrazzo, ho appoggiato le mani su di esso e ho iniziato ad osservare la torre sotto l'effetto della luce del sole.
Poi sei arrivata tu. Mi hai raggiunto.
Hai posato una tua mano sulla mia schiena e, voltandoti a guardarmi attraverso le lenti scure dei tuoi occhiali da sole, mi hai chiesto se andasse tutto bene.
Ho impiegato un po' di tempo prima di risponderti. Mi sono presa un attimo per godermi la vista e imprimere l'immagine nella mia mente.
"È davvero bella. La torre. Vista da qui non sembra poi così alta"
"Devi vederla di notte allora, sotto l'effetto delle luci della città e quando la torre stessa si illumina"
Solo in quel momento mi sono voltata verso di te.
La guardavi e sorridevi, come se la scena ti si stesse presentando davanti in quello stesso istante, come se quell'immagine fosse viva. E forse nei tuoi occhi lo era davvero.
"Non ci sono mai stata"
Ho ammesso all'improvviso, senza alcun timore, dopotutto non ne avevo motivo per averne.
Non avevo mai girato il mondo fino a quel momento, non avevo avuto l'occasione di poterlo fare.
Tu mi hai guardato senza dire nulla e mi hai sorriso prima di trascinarmi via con te verso le altre, stavamo per iniziare.
E avrei dovuto capire che quel tuo sorriso era una di quelle tue risposte che non necessitano parole. Me lo sarei dovuto aspettare.
Ma dopotutto è sempre stato questo il bello di te: l'essere enigmatica, anche per chi ti conosceva bene.
La sera ero stesa sul letto a leggere.
Sei venuta nella mia camera e mi hai sfilato il libro dalle mani poggiandolo sul comodino.
"Vestiti, sbrigati"
Nessuna spiegazione.
Nessuna risposta alle mie domande.
Nessuna parola di più.
Non hai detto niente.
Hai preso e mi hai portata lì. Senza alcun preavviso, senza alcun senso di costrizione. Hai preso e l'hai fatto, senza che ti chiedessi niente.
Perché tu sei così: se puoi, fai. A volte corri dei rischi, ma non t'importa. Li lasci alle spalle per un istante e vai avanti. Avrai sempre modo di pensarci dopo.
Mi hai portato in cima alla torre facendo attenzione che non ci vedessero.
Mi sono avvicinata ad un lato di essa e ho iniziato ad ammirare il panorama che mi si presentava davanti.
Mi sono venute in mente le tue parole di qualche ora prima. Avevi ragione.
Lasciava senza fiato.
Mi hai lasciato sola qualche istante.
Poi mi hai seguito in silenzio, senza distrarmi. Hai avvolto le tue braccia attorno al mio busto, all'altezza della vita, mi hai stretto in un abbraccio, tenendomi da dietro, e hai appoggiato il tuo mento sulla mia spalla sinistra godendoti la città vista da lì.
Il suono di un nuovo messaggio attira la mia attenzione distaendomi dai ricordi che scorrevano lenti nella mia mente.
Mi mandi delle foto sfocate della struttura. Rido un po'.
E se fossi qui probabilmente faresti la finta offesa. Alzeresti un sopracciglio come solo tu sai fare e poi metteresti su quel broncio incociando le braccia al petto.
Non sei mai stata brava con le fotografie, dici sempre che tra le due sono io quella che se la cava meglio.
Una volta mi hai detto che non ci sei mai stata, all'Empire State Building.
È stata quella stessa notte.
Eravamo nel letto della mia camera d'hotel a Parigi.
Io a giocherellare con le dita delle nostre mani e tu a raccontarmi di quanto ti eri affezionata a New York, ma che non hai mai visto quel grattacielo.
"Veramente?"
Ho fermato il nostro gioco di mani, ho spostato lo sguardo su di te e mi sono alzata lievemente col busto, interrompendo il contatto tra il mio collo ed il tuo braccio.
Mi hai guardato e hai annuito semplicemente prima di tirarmi nuovamente giù, facendomi appoggiare nuovamente a te.
Quella notte avevo promesso che ti avrei portato.
Io.
Io ti avrei portato. Tu saresti stata con me.
Ma son venuta meno alla mia promessa.
Adesso al tuo fianco, in questo preciso momento, ti ritrovi tuo marito. Quello che non ti presta mai la minima attenzione. O almeno non per la vera ragione per cui dovrebbe farlo.
Non gli è mai interessato.
Ti osserva solo per comunicare i tuoi movimenti e fare ciò che deve.
Torno con gli occhi sullo schermo.
Leggo gli altri messaggi.
Mi maledici.
Mi maledici perché non sono lì.
Mi maledici perché non ho accettato di venire e ho lasciato il mio posto a Laverne senza pensarci due volte.
Mi maledici anche perché non ti ho portato come ti avevo promesso anni fa?
Non avresti tutti i torti a farlo, lo capirei. Sarebbe giusto.
Lo faccio anche io dopotutto, ma non te lo dico. Diresti che faccio bene, e lo so già.
《Sai già perché》
La conosci anche tu, la sai. Te l'ho detto.
《E tu sai che sei una stupida.
Sei una stupida》
E non so con quale tono me lo diresti se mi avessi davanti.
Rabbia?
Delusione?
Forse entrambe.
È vero: sono una stupida. Lo ammetto.
Perché negarlo?
Ho rinunciato all'opportunità di portarti per la prima volta, per te, in un posto che non avevi ancora visto, che ti risultava inesplorato. Un posto che non ti aveva ancora conosciuto e che non aveva ancora alcun ricordo di te. E me. Quando avrebbe potuto averlo.
Ho rinunciato all'opportunità di poterlo fare senza doverci necessariamente nascondere come siamo solite fare.
Ho rinunciato alla scusa perfetta.
Ma si sa, a volte la rabbia, se mischiata con orgoglio e sofferenza che in quel momento prende il sopravvento, fa sembrare anche le decisioni sbagliate più giuste e razionali. E col senno di poi ti rendi conto di aver fatto una stronzata arrivando a pentirtene.
Leggo il tuo ultimo messaggio.
《Stiamo per salire, ti scrivo dopo》
State salendo con l'ascensore per arrivare in cima ad uno dei più grandi e importanti grattacieli della città.
Ti dico di non aver paura, di non pensare a niente.
Ti ricordo di respirare prima di andare e mettere il cellulare bella borsa.
Te lo ricordo perché so l'effetto che hanno su di te gli ascensori.
《Respira Laura, respira》
Respira che se trattieni il respiro quei centodue piani sembreranni infiniti.
Respira che se non lo fai, inizi a sentirti soffocare e i pensieri ti si affollano nella testa.
Visualizzi.
Rispondi
《Respiro...Respiro...》
E poi sparisci.
Quel 'online' svanisce e lascio il cellulare accanto a me, sul divano, accanto ai miei piedi.
Lascio la testa cadere all'indietro e mi infilo le mani nei capelli.
Respiro anche io.
"Ti sei pentita T?"
Natasha si volta verso di me, appoggia un braccio sullo schienale del divano e posa la testa sulla mano.
È incredibile il modo in cui riesce a capire sempre entrambe, anche quando non parliamo.
Lei sa. Le parole sono superflue.
Faccio un cenno di assenso con la testa mentre mi passo le mani sugli occhi e poi le lascio cadere entrambe sulle mie ginocchia.
La mia amica mi lascia un lungo bacio sulla fronte e mi lascia sola, qui, con i rimpianti e i sensi di colpa che iniziano ad invadermi insieme alla rabbia che non vuole cessare nonostante tu mi abbia avvertito della sua presenza. Ma sai anche tu che, per me, è un fatto ancora troppo duro da dover metabolizzare, qualcosa che, forse, nonostante tutto, non sarò mai in grado di metabolizzare.
Ripenso alla tua fobia degli ascensori.
Ripenso a quanto tu odi quegli aggeggi perché temi sempre che si possano bloccare da un momento all'altro come in alcuni film.
Ripenso a quanto hai paura dell'altezza quando guardi giù e sei in movimento, compreso quando sei sull'aereo.
Ti metti sempre all'interno perché non ti piace la sensazione di vuoto che crea se non sei ferma.
Ti immagino mentre posi una mano attorno al braccio di tuo marito e stringi la manica della sua giacca, tenendoti forte, salda, per la paura e tieni la schiena attaccata alla parete dell'ascensore che quasi ti ci nascondi dentro.
Ti immagino mentre chiudi gli occhi e poggi la testa alla parete metallica per respirare ed evitare di pensare.
Ti immagino a fare esattamente ciò che avevi fatto quella notte a Parigi, con me, mentre mi conducevi in cima alla torre.
Però quella volta, mentre una tua mano teneva il mio braccio, l'altra teneva la mia mano, stretta, forte, la testa era appoggiata sulla mia spalla e la paura era minore.
Riapro gli occhi, mi guardo attorno e decido di alzarmi.
Non riesco a stare ferma.
Non riesco a stare qui seduta sapendo di aver fatto una cazzata enorme rifiutando.
Non riesco.
Inizio a camminare nervosamente per casa, a piedi a nudi, e mi avvio nella nostra camera da letto.
Mi avvicino alla finestra osservando il panorama per provare a calmarmi. Ma non ci riesco.
Allora prendo un cuscino, il tuo. Lo stringo tra le braccia e mi siedo vicino alla finestra.
C'è ancora il tuo profumo, anche se ieri la tua testa è rimasta appoggiata qua sopra per poco è comunque rimasto.
Chiudo gli occhi inspirando il tuo odore e nel mentre sento delle parole come se le stessi ascoltando in questo istante, rimbombano nella testa come un martello.
'Perché cazzo hai rinunciato, eh?'
'Si può sapere che ti è passato per la testa?'
'Sei una stupida'
'Ti sei pentita?'
Riapro lentamente gli occhi, lascio il cuscino sul letto e mi precipito al piano di sotto per trovare la mia amica.
"Nat. Natashaaaaaaa."
"Sono qui, che succede"
Lei mi guarda per un attimo.
Guarda i miei occhi.
Ha capito.
"Oh no, conosco quell'espressione sul viso T. Che ti passa per quella testolina bionda?"
E non importa se vado contro me stessa, contro le miei intenzioni ed il mio volermi bene.
Non importa se risulto non risulto coerente, quando si tratta di lei non lo sono mai stata.
Non importa se avevo detto che ieri sarebbe stata l'ultima volta. Fanculo i buoni propositi, fanculo il mio stare male, ci sarà tempo per riprendermi, per prendermi cura di me.
Ora c'è solo una cosa che voglio fare, è quella che avrei dovuto fare molto tempo fa.
"Devi darmi una mano con una cosa"

Arriverà la fine, ma non sarà la fine ~LaylorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora