TWENTY SIX

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-Prego, seguitemi-.
Una guardia dal fisico imponente, imbellettata con una divisa perfettamente stirata, accompagnò Liu e sua madre lungo un corridoio.
Al loro arrivo al distaccamento della polizia penitenziaria, i due avevano trovato l'ingresso assaltato da un numero incalcolabile di persone, tra giornalisti e curiosi; tutti volevano notizie fresche, sul conto di Jeff the Killer. Tutti volevano far chiarezza sul caso del giovane assassino che dopo aver seminato panico per anni interi era stato finalmente arrestato.
Ma Liu era passato tra la folla con lo sguardo fisso a terra, ignorando del tutto i continui richiami dei giornalisti che tanto speravano di poterlo intervistare.
Adesso che camminava a passo lento lungo il corridoio che conduceva alle celle, il castano sentiva un insopportabile vuoto dentro di se; come se non fosse più provvisto della propria anima.
Trascinava un piede avanti all'altro simulando una forza d'animo che in realtà non aveva, mentre dentro di lui un tornado di emozioni scosse violentemente le sue interiora, fino a fermarsi di colpo. Ed ora, solo un atroce sensazione di vuoto poteva percepire.
Un assenza di emozioni. Un freddo silenzio.
-Posso farvi entrare solo uno per volta-.
La voce della guardia catturò l'attenzione di Liu, seppur fosse disperso nei suoi pensieri da molti minuti.
Sollevò lo sguardo ed emise un sospiro tremante, senza scambiarsi neppure un accenno di sguardo con la madre. -Non importa, entrerò io- disse.
La donna non replicò; nonostante si stesse parlando di suo figlio, non vi erano dubbi che Lui avesse un rapporto decisamente più profondo con Jeff rispetto a quello che poteva aver avuto lei. Era giusto che fosse lui, quindi, ad andare a incontrarlo.
-Bene, allora mi segua- concluse la guardia, aprendo un moderno portone blindato con l'ausilio di una chiave elettronica.
Il castano lo seguì senza dire una singola parola; percorsero un lungo corridoio, affiancato da ambi i lati da una lunga serie di celle.
Molte erano vuote, mentre altre ospitavano individui poco raccomandabili, con i quali però Liu non si degnò di condividere un singolo sguardo. Si limitò a seguire i passi pesanti del poliziotto, finché quest'ultimo non si fermò dinnanzi ad una delle celle.
-Non posso lasciarvi soli, devo assistere all'incontro- annunciò, allontanandosi di qualche metro per garantire al ragazzo un minimo di privacy.
Liu iniziava a sentire il fiato pesante, mentre si avvicinava alle sbarre con una lentezza snervante. 
All'improvviso il suo coraggio stava vacillando; non era per niente sicuro di avere la stabilità emotiva necessaria a regge quell'incontro.
Ma ormai era troppo tardi, ed in fin dei conti lui aveva un bisogno estremo di rivedere Jeff. Doveva assicurarsi che stesse bene, dirgli che non aveva mai smesso un solo secondo di pensare a lui durante quella settimana di ricovero in ospedale.
Il castano si fermò davanti alle sbarre, e sollevando lentamente lo sguardo poté osservare la figura di Jeff, seduto su un lettino coperto da un lenzuolo bianco, che era stato posto in un angolo della piccola cella.
Se ne stava immobile con lo sguardo basso; il castano notò quasi immediatamente che i suoi capelli erano stati tagliati.
Adesso erano lunghi pochi centimetri, arruffati, e disordinati.
Il moro sembrava fissare il muro davanti a sé, con il mento poggiato tra i palmi delle mani; era completamente immobile, chissà da quanto tempo.
-..Jeff?- mugolò il castano, con un filo di voce.
Nell'udire il suo nome pronunciato da quella voce per lui fin troppo familiare, il killer si voltò di scatto incrociando lo sguardo del fratello maggiore. Lo stava guardando con estrema preoccupazione, con entrambe le mani strette attorno alle fredde sbarre di ferro.
Jeff si alzò dal letto molto lentamente, e si avvicinò con ancor più lentezza; nel suo sguardo triste e tremendamente vuoto, era visibile un certo stupore.
Non si aspettava che qualcuno sarebbe andato a trovarlo in quel posto.
-Jeff...- mormorò ancora Liu, che già si stava sforzando di trattenere le lacrime. Non riusciva a sopportare di vedere una tale sofferenza negli occhi di suo fratello minore; quello stesso fratello per cui era stato disposto a tutto. -Come... Come stai?- domandò, con un filo di voce.
Il suo corpo iniziò a tremare; se solo ci fosse stato un modo per invertire le loro posizioni, in quel momento l'avrebbe fatto. Avrebbe volentieri scontato l'ergastolo lui stesso, pur di alleviare le sofferenze di Jeff.
Il moro si fermò proprio davanti a lui, e lo guardò con quel suo paio d'occhi chiarissimi; ma erano così spenti, da sembrare quelli di un fantasma.
-Non devi venire qui, Liu- mormorò, senza muoversi.
Il castano strinse i pugni come avesse voluto stritolare quelle sbarre di ferro, nel tentativo di reprimere quel sentimento di rabbia mista a disperazione che adesso stava prendendo possesso del suo corpo.
-Ma che dici...- borbottò, facendo uno sforzo immane per riuscire ad allargare un sorriso. -Io... Volevo vederti. Come... Ti senti?- ripeté ancora, questa volta con più decisione.
Il moro scosse lievemente il capo, facendo danzare i suoi capelli, adesso corti, sulla fronte pallida. -Devi dimenticarti di me, Liu-.
Il castano adesso stava stringendo i pugni così forte da percepire un dolore caldo e pulsante sui polpastrelli. -Sai che non posso farlo- replicò, con la voce che tremava palesemente contro la sua volontà.
Jeff avanzò di un passo, e molto lentamente allungò una mano, per poi poggiare con delicatezza il palmo sul pugno chiuso del fratello.
Quel contatto fece sì che il castano crollasse del tutto; non riuscì ad arrestare le lacrime, che iniziarono a scendere copiosamente lungo le sue guance. -Jeff...- mormorò, singhiozzando silenziosamente. -Io ho bisogno di te...-.
Si rese conto soltanto in seguito che quel suo comportamento stava probabilmente danneggiando entrambi. Quella separazione non era stata di certo una loro scelta; e sfortunatamente, non c'era nulla che avrebbero potuto fare per rimettere a posto i cocci di due vite così tanto devastate dal dolore e dalla durezza della realtà.
-Ti... Ti voglio tanto bene, Jeff...- singhiozzò, afferrando forte la sua mano e stringendola come fosse la cosa più preziosa del mondo.
Sul volto del moro comparve un sorriso sincero, che nulla aveva a che fare con quello che aveva inciso sulle sue guance.
-Anch'io, Liu. Ti voglio bene anch'io-.
I loro sguardi si incrociarono, ma andarono oltre alle iridi vitree e lucenti; fu come se ognuno avesse penetrato l'anima dell'altro, trovando calore in quel semplice e sincero scambio di sguardi profondi.
-Mi dispiace ma il tempo è scaduto. Signor Woods, devo accompagnarla fuori-.

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