Capitolo 6

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Mi hanno detto che dovrei dormire di più, mangiare di più. Ho perso un sacco di tempo per colpa loro, ma per fortuna mi è bastata una firma per tornare a casa.

A volte mi chiedo se quelli che a scuola con me da piccoli ogni tanto si ricordano di me, di quel fin troppo breve periodo della loro vita di cui ho fatto parte, ma non così tanto da non poter essere anche solo lontanamente, minimamente ricordato.
Mi chiedo se i miei insegnanti di allora a volte si ricordano dei dispetti che mi fecero, o se almeno si ricordano di me.
Ripenso agli amici degli amici che sono venuti anni interi ogni fine settimana a trovarci se ora si ricordano ancora quando è il mio compleanno.
Chissà se la mamma di quel mio amico che veniva a sistemarmi i capelli si ricorda ancora di quanto io desiderassi cambiarne il colore, desiderando l'essere diverso dagli altri, per poi scoprire solo crescendo di esserlo sempre stato ugualmente.
Mi chiedo se le mamme del parco si ricordano ancora di quel bambino rotondetto che se ne stava sempre in disparte con il suo mp3 e le cuffie nel suo mondo in testa.
Vorrei sapere se la prima ragazza di cui mi innamorai si ricorda ancora di quando le scrissi una lettera, se il ragazzo che mi strappò il primo bacio solo per gioco si ricorda ancora di quel gesto.
Me lo chiedo spesso, perché ho la costante sensazione che qui invece mi abbiano dimenticato tutti.
La mia non è solo solitudine fisica, la mia è una solitudine più elevata, quel genere di solitudine che senti anche mentre parli con un amico, perché sai che in realtà se non fosse perché gli servi non perderebbe un secondo della sua vita a pensarti o a preoccuparsi per te. Quella solitudine che senti quando arrivi a percepire che non c'è nessuno lì fuori che si ferma a ricordare ciò che sei stato, né tu né per loro.
Che se ti senti fischiare le orecchie non è perché ti pensa qualcuno ma perché ormai c'è solo il silenzio, dentro di te come tutto intorno...

Mi alzo dal letto, mi trascino in bagno, non avevo più voglia di niente in assoluto, lavarmi, vestirmi, truccarmi, andare a danza, tornare, magari incontrare qualcuno per essere comunque ignorato.
Dovevo però, avevo già fatto un periodo troppo lungo di assenza dopo quel piccolo incidente infondo.
Ad ogni modo, aprii la porta del bagno, aveva ripreso a cigolare nonostante l'avessi aggiustata poco tempo fa, accesi lo stereo che tenevo lì, mi lasciavo tenere compagnia dai quei programmi radio stupidi a volte, oppure da quelle canzoni così tanto, troppo commerciali che passavano, durante il giorno più che durante la notte. Mi infilo sotto la doccia e aspetto che si riscaldi l'acqua, tanto a pensarci che non mi accorgo di aver trasformato il bagno quasi in una sauna; mi sbrigo a lavarmi e risciaquarmi, un paio di volte ed esco.
Tornato in camera mi siedo sul letto, non era troppo grande, se ci fossero dovute stare due persone però avrebbero dovuto stringersi un po, ma non c'era il minimo rischio che accadesse mai, ne sono più che certo.

Finito di prepararmi mi avvio per strada con il borsone in spalla, nero, da sempre.
Oggi niente autobus, a breve avrei dovuto pagare la retta mensile della scuola di ballo, mi conveniva risparmiare il più possibile.
Ad ogni modo, oggi c'era meno gente a piedi, ma più traffico, stranamente, anche se non mi dispiace affatto, ci sono abituato a spinte e spintoni è vero, ma comunque un posto più tranquillo non mi dispiacerebbe.

Mi finisco di riallacciare la scarpa attorno alla caviglia.
Oggi avevo la prima lezione con lui. Prima di quel momento la preoccupazione non aveva sfiorato nemmeno per sbaglio la mia mente, ma così all'improvviso arriva, a volte non mi capisco nemmeno da solo.

Era già lì da prima di me, come al solito, non capisco se lo faccia di proposito perché così si fa più bello agli occhi degli altri o perché davvero ci tiene.
L'insegnante ci saluta calorosamente ma in modo distinto come sempre, un po come tutte le insegnanti.
Dopo le varie spiegazioni e raccomandazioni, oltre ai discorsi su quanto sia importante l'impegno, la costanza, l'allenamento e tutto il resto ; chiede alla pianista di iniziare a suonare, ci mostra il primo passo, sollevare il braccio morbidamente, io il destro e lui il sinistro, uno di fianco all'altro, ma lui due passi più indietro, dovevamo poi sbilanciare voltandoci il Busto verso il nostro compagno e lasciare intrecciare le due braccia nel modo più naturale possibile, per me non era un problema, non mi dava fastidio, ero abituato a questo tipo di contatto, ma il suo sguardo puntato ai miei occhi, quello lo percepivo fin troppo, quasi mi distoglieva da ciò che dovevo fare. Era così, i suoi occhi attiravano come calamite, forse perché così tanto scuri e profondi.

Continuo a pensare che ci sia molto di più di quello che lascia vedere lì dentro.

L'insegnante viene a correggere le piccole imprecisioni, ma si capiva fosse già contenta del primo risultato. A dire il vero, se proprio avessi dovuto trovare un lato positivo in tutta questa storia, sarebbe stata proprio questo, che se avessimo avuto la stessa naturalezza e complicità anche in futuro, l'intera coreografia sarebbe stata perfetta.
Ci separiamo, e riprendiamo, provandolo una seconda volta tenendo bene a mente gli accorgimenti dell'insegnante, dopo di ciò, ci mostro oltre alle braccia, quale sarebbe dovuta essere la posizione delle gambe, inizialmente, la mia sinistra tesa all'esterno, a quarantacinque gradi a sinistra in avanti, mentre la sua allo stesso modo ma sulla destra, nell'attimo prima del contatto sarebbero dovute tornare giunte.

Fra discorsi, accorgimenti, pause e prove passarono le solite due ore, arrivando così l'ora di tornare a casa, quasi come se in realtà il tempo fosse scorso più in fretta.
Rimetto a posto le cose nella borsa ed esco dalla sala, arrivato al corridoio mi rimetto le scarpe, quelle che avevo disegnato tutto intorno io stesso, sia la stoffa che la suola, le mie vecchie e solite classiche All star nere, quelle che hanno tutti, si, per questo presi la decisione di apportarci delle modifiche.

< Disturbo? >
Mi volto e vedo il ragazzo, a volte non capisco come faccia ad avere un viso e un aspetto così sfrontato ma un atteggiamento così educato nel modo di domandare le cose.
< No, assolutamente. > gli rispondo.
< Mi è piaciuto provare con te, è la prima volta lo so, però mi sono trovato molto bene. >
< Ne sono contento, anche per me è un piacere lavorare con te. > gli dissi forzando un sorriso.
< Credi che non lo sappia taeyong? > alzò un sopracciglio, quasi come segno di sfida.
< Non sappia cosa? > finsi di non capire, ma lo sapevo più che bene.
< Che ti scoccia che debba condividere questa opportunità con me. > disse, seguendo con una leggera risata.
< Sarà una tua impressione, te lo assicuro. > dissi, freddamente.
< Spero di riuscire a farti ricredere un giorno. > disse, l'attimo prima di andare via, rimasi spiazzato.

Sono passate ore ma non ho smesso di pensarci, era come se quel ragazzo riuscisse a vedere delle cose dentro di me che di solito nessuno nota nemmeno vagamente, ho bisogno di sapere come, come è possibile.
Devo dormire, ho il turno di mattina domani ma non riesco a non ripensare alle sue parole.

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