Marzo
Quel giovedì Riccardo uscì di casa col sorriso sulle labbra per la prima volta, dopo un inverno appesantito dalla neve e dalle sue solite bugie. Al risveglio era stato sorpreso sotto il piumone da un timido raggio di sole e così aveva deciso di aggrapparsi a quell'assaggio di primavera, per dare un calcio alla tristezza. D'altronde al mattino era sempre carico di grandi aspettative e di vane promesse, che a fine giornata lasciava cadere in un angolo del portafoglio assieme all'abbonamento della palestra, ai biglietti obliterati dell'autobus e alla fototessera del suo capo. Ma poi chi cazzo è che tiene la fototessera del proprio superiore in tasca? Solo un matto, lui pensava. La verità era che finché non avesse impedito al lavoro d'invadergli la vita a bordo campo, questo avrebbe continuato a fargli fallo e a espellerlo dalla corsa verso le sue reali necessità. Proprio come il faccione di Leo – il direttore radiofonico di Carpi – che per colpa dell'attrito prodotto dal fotogramma sul rivestimento del suo documento, continuava a rimanergli incollato all'identità. Erano quattro mesi che lavorava ininterrottamente; sedici lunghissime settimane che fra dirette, interviste, serate e straordinari non aveva avuto né sabati né domeniche. Ormai era talmente stanco che cominciava a rimpiangere i manuali di Bilancio e di Marketing Internazionale dell'università. D'altra parte fare musica era sempre stato il suo sogno e quella maledetta laurea l'aveva presa soltanto per far tacere i suoi genitori, perché:
Riccardo, al giorno d'oggi senza un titolo di studio
non vai da nessuna parte, l'hai capito o no?»
Mamma, ma io voglio fare lo speaker.
Riccardo, suonare è un hobby.
Ma papà, io voglio diventare un dj!
La musica non è un mestiere. Il direttore di banca e il manager lo sono
ma la musica, no!
No, non è un mestiere, papà. La musica non è un mestiere.
La musica è la mia vita»
E mano a mano che gli anni passavano, anche se il tempo libero diminuiva e le difficoltà aumentavano, l'amore che Ricky nutriva per essa continuava a restare invariato. Aveva cominciato tutto per gioco, suonando alle feste di compleanno dei suoi amici e ai balli della scuola, poi a diciotto anni si era fatto regalare la prima tastiera e da allora aveva finito per trascorrerci sopra tutti i pomeriggi. Più muoveva le dita su quei pulsanti, più sembrava che la sua vita acquisisse senso soltanto mediante il loro profilo. A nulla erano valsi gli ammonimenti dei suoi genitori, perché ormai Ricky sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo e che al mondo piacesse o no, lui sarebbe diventato un dj a ogni costo. Così, terminate le superiori, aveva aperto un canale radio sul web in cui inserire i suoi pezzi: Simpathy for the Devil lo aveva chiamato come la sua canzone preferita dei Rolling Stones; come il diavolo indiscusso dell'elettronica, che un giorno sperava tanto di diventare. Finché una sera, durante un party, Christian Riccucci – l'organizzatore di eventi notturni più conosciuto di Modena – gli si era avvicinato, dicendo:
«Devil J, sai che suoni bene?»
«Grazie.»
«Perché non passi in ufficio da me domani? La scorsa settimana il mio resident dj mi ha lasciato a piedi e sto cercando qualcuno per rimpiazzarlo. Vorrei farti fare una prova.» All'inizio si era trattato solo di coprire qualche sostituzione poi però, entrato a far parte a tutti gli effetti del Golden Staff, il suo successo era andato crescendo in maniera esponenziale fino a trasformarsi in un idolo. A poco più di vent'anni Riccardo figurava nella schiera dei dj emergenti italiani favoriti e aveva aperto le esibizioni di numerosi artisti di calibro internazionale. Ogni settimana si spostava tra Modena e Riccione, da Milano a Torino; alcune volte aveva suonato persino a Firenze e a Roma. Ovunque si recasse, il suo nome di demone riecheggiava nelle orecchie dei malati di musica house come quello di un fuoriclasse. Non a caso era stato proprio grazie alle sue garanzie, se negli ultimi mesi era riuscito a guadagnarsi quel sudato tirocinio a Virus Radio. Aveva dovuto superare tre colloqui e sbaragliare numerosi concorrenti; ma alla fine, davanti alla rassegna interminabile dei suoi concerti e delle sue collaborazioni, Leonardo Prampolini non aveva potuto che assumere lui. Pazienza se i turni erano doppi, le mansioni poco gratificanti o se il caffè delle macchinette faceva schifo: Riccardo avrebbe dato via anche un rene per lavorare in una delle frequenze radiofoniche più ascoltate del Nord Italia. No, non è un mestiere, papà. La musica non è un mestiere. La musica è la mia vita. Ma ora che lo era diventata per davvero, quella lo stava lentamente assorbendo, risucchiando: come una forza ingorda, che reclamasse per sé anche il più piccolo frammento del suo tempo, ogni fibra del suo cuore. Da quando aveva venduto l'anima alla notte infatti, Riccardo era diventato irriconoscibile. Asservito ai meccanismi tendenziosi dell'intrattenimento e della celebrità, quel ragazzino alto e smilzo, che un tempo giocava a football e serviva la messa nella chiesa della parrocchia, poco a poco si era trasformato in un venticinquenne oscuro e imponente, che non conosceva scrupoli o inibizioni e che non si curava di niente o di nessuno a eccezione del proprio tornaconto. Per Riccardo i colleghi di lavoro erano solo pedine, gli amici poco più di una facciata e le donne nient'altro che un amabile diversivo. Odiava la gente e di norma sfuggiva qualunque tipo di interazione umana, a meno che non gli procurasse qualche vantaggio. Mentre ogni weekend migliaia di fan si prostravano ai piedi del suo trono stroboscopico, ansiosi di sottomettersi al flusso ipnotizzante della sua musica, lui invece suonava solo per se stesso, per dare ordine al caos che aveva dentro. Non gli importava che gli altri si divertissero, voleva solo che lo adorassero; che quando le luci della sala si abbassavano assieme ai toni delle note e il vocalist annunciava a gran voce il suo nome in consolle, loro rispondessero al suo richiamo, pronti a far fuoco sulla notte. Terminata la sua performance, di solito si ritirava in un angolo del locale a godersi in pace il suo vodka tonic e se qualcuno lo disturbava erano guai; per non dire botte. Che lo scambiassero pure per un tiranno feroce – pensava – tanto non si sarebbero mai azzardati a levargli di mano il suo tridente: anche se aveva un caratteraccio, nessuno sapeva incendiare la pista come faceva lui. Il suo ritmo era prorompente, avviluppante, impareggiabile; degno di un vero diavolo.
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La rana e lo scorpione - libro primo
General FictionRiccardo Deggi ha venticinque anni, vive a Modena e da sempre sogna di sfondare nel mondo della musica. Greta Bellei ne ha ventidue, studia Lettere e ancora non ha trovato il suo posto nel mondo. Lui è oscuro, manipolatore e dispotico; lei riservata...