Introduzione - Perché abbattere lo stigma è necessario

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Stando a quanto riportano informatori e influencer che si occupano di salute mentale, chi soffre di disturbi del tono dell'umore, depressione in particolare, impiega in media dieci anni prima di decidersi a chiedere aiuto. Io ne ho impiegati quindici, ed è comunque una fortuna rientrare nella casistica di quei coraggiosi che si sono decisi a compiere il grande passo di uscire allo scoperto e cominciare ad affrontare sul serio il problema. Perché, sempre secondo le statistiche, solo un terzo delle persone che soffrono di un disturbo del tono dell'umore segue un percorso terapeutico con un professionista.

Come mai è così difficile parlarne?

Terminologia clinica e paroloni a parte, non ho dovuto cercare a lungo per trovare risposta a questa domanda. In gran parte dipende dall'ambiente in cui si cresce: più alto è lo stigma sulle malattie mentali, più difficile è liberarsi dalla gabbia, perché in fondo di gabbia si tratta.

Nel mio caso non è andata molto bene sotto quel punto di vista: nata in un paesino del sud, unico membro con inclinazioni artistiche e progressiste in una famiglia conservatrice... un episodio depressivo non sarebbe stato altro che l'ennesima stravaganza.
I miei ad oggi negano che gli eventi da me raccontati nel capitolo "Notizie dall'inferno" siano mai accaduti. Di conseguenza li ho tenuti all'oscuro di tutto ciò che è successo dopo e che ancora continuo ad affrontare. Non è semplice tener nascosto il fatto che io prenda farmaci su base quotidiana, che molte delle nostre litigate mi abbiano portata a un passo dal suicidio, che ci sia una parte fondamentale della mia persona di cui ignorano l'esistenza.
Nessun inganno meschino, semplicemente in qualche modo dovevo proteggermi, e in fondo sto proteggendo anche loro.

La malattia mentale in contesti del genere è vista in due modi. Finché si tratta, nell'ottica comune, di "semplici stati d'animo" come ansia o depressione, allora sei solo un debole o al più uno scansafatiche in cerca di attenzioni. Quando invece si sconfina in uno di quei disturbi il cui nome fa paura ─ come ad esempio schizofrenia o disturbo bipolare ─ allora è una sciagura da nascondere e la famiglia un gruppo di poveri cristi che deve avere a che fare con un malato di mente.
La possibilità che si tratti di disturbi curabili, o quantomeno trattabili, che con le giuste terapie si possa fare una vita normale non è contemplata. Ancora peggio se basta la psicoterapia a venirne fuori: allora è palese che non era una vera malattia.

D'altro canto, dal punto di vista della consapevolezza mi è andata molto meglio, come anche è stata una fortuna, in retrospettiva, trovarmi a un certo punto costretta a trasferirmi in una grande città. Diversi miei coetanei non sono sopravvissuti, e sì, intendo esattamente quello che state pensando. Non credo di esagerare nell'affermare che, se avessi ancora determinate persone nella mia vita, non sarei sopravvissuta neanch'io. Ho vissuto periodi davvero oscuri, ci sono stati momenti in cui ho pianificato come sarei morta, giorni in cui ho avuto sinceramente paura che sarei impazzita. Ma così non è stato, ed ora sono qui a parlare, svuotarmi e raccontare cosa vuol dire scontrarsi di continuo con se stessi.

Mi è comunque costato molto in ogni caso: anni e talenti perduti a combattere contro me stessa, lasciando che quel demone crescesse nel frattempo a dismisura, diversi rapporti di amicizia finiti a causa dei periodi in cui sparivo e l'abbandono da parte di due persone che amavo profondamente.

Chiedere aiuto è necessario, e soprattutto è un dovere verso se stessi.

Ho capito di aver bisogno di aiuto quando le mie fasi depressive hanno cominciato a diventare sempre più frequenti. Le prime volte intercorreva qualche anno tra l'una e l'altra. Poi hanno cominciato a presentarsi più spesso, poi a cadenza stagionale con diversi gradi di severità. Infine senza alcun preavviso. Ma c'era dell'altro, segnali che non riuscivo a vedere. Mi concentravo sulla depressione perché la ritenevo più pericolosa, e altri aspetti dei miei annebbiamenti mentali li consideravo, in un certo senso, collaterali. Ho poi scoperto che erano parte sostanziale del problema.

Quando finalmente mi sono presentata dalla mia terapeuta ero in condizioni disumane. Una grave depressione mi aveva portata al punto da prendere giorni di ferie perché non riuscivo ad alzarmi dal letto, mi causava pianto immotivato ogni mattina per almeno un paio d'ore, una stanchezza persistente e debilitanti durava da mesi, la soglia dell'attenzione era praticamente azzerata, sensi di colpa nei confronti di chi mi stava accanto mi tormentavano, e soprattutto ero sopraffatta da psicosi: pensieri ossessivi costanti non mi abbandonavano mai e mi causavano un vero e proprio annebbiamento a livello mentale. Lo descrivevo sempre allo stesso modo (il mio psichiatra lo ha segnato persino nel suo fascicolo):

"È come avere un alveare dentro la testa".

E, nonostante questo, i residui di quegli stereotipi con cui mi ero scontrata per anni mi portavano comunque a temere per qualche attimo che anche lei mi dicesse che dovevo solo cambiare prospettiva.

Ma come poteva essere solo una questione di prospettiva? Non era così e lo sapevo bene.
C'erano momenti in cui mi prendevo la testa tra le mani e soffocavo le urla stringendo i denti perché quel dannato ronzio non si fermava, perché la vista mi si annebbiava e non vedevo via d'uscita. Nessuno dovrebbe ridursi così, nessuno dovrebbe sentirsi dire che è tutta una questione di prospettiva quando ci si sente così. Quello che io ho vissuto, e che in molti vivono quotidianamente, a causa dello stigma è stato ingiusto.

La diagnosi è arrivata dopo qualche mese di osservazione combinata da parte di psicoterapeuta e psichiatra e ha cambiato parte di ciò che avevo creduto di capire riguardo a me stessa, ma allo stesso tempo ha validato la mia lunga battaglia. Non si tratta soltanto di depressione, ma di una forma di disturbo bipolare non altrimenti specificato.

E no, non vuol dire che ho una doppia personalità. Non vuol dire neanche che sono aggressiva o pericolosa, anzi, nessuno tra chi mi sta intorno è in pericolo se non la sottoscritta.

Cosa vuol dire lo approfondirò nel prossimo capitolo.

Cosa vuol dire lo approfondirò nel prossimo capitolo

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