18. Sei in grado

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«Wow» ridacchia Cristian, appoggiato alla scrivania dove ha appena finito di appuntare il materiale da portare per il servizio. Mi guarda con un angolo della bocca sollevato, in un sorriso provocante e divertito.

Si sta prendendo gioco di me, realizzo.

Assottiglio gli occhi e incrocio le braccia. «Non è per niente divertente. E comunque è colpa tua» affermo.

«Colpa mia?» fa eco il mio tutor. Emana fascino da tutti i pori. Maledizione.

«Sì» e la mia sicurezza inizia già a vacillare.

«Mmh. E perché sarebbe colpa mia?»

«Perché mi hai chiamata...» la mia voce inizia a smorzarsi. Non riesco a dirlo. Per qualche strano motivo, la cosa mi imbarazza tantissimo. Cristian tiene gli occhi su di me, mentre chiama l'ascensore.

«Mi hai chiamata...» ritento, inutilmente. Le porte dell'ascensore si aprono nel giro di pochi istanti e avanzo all'interno, dietro alle sue spalle larghe.

«Come ti ho chiamata, Kassandra?» mi chiede, la voce bassa e provocante, il sorriso meno intenso, ma furbo e arrogante quanto prima. Muove un passo verso di me, abbassa il suo viso sul mio. Il suo profumo mi stuzzica le narici, il suo fiato caldo arriva alla mia pelle.

«Come ti ho chiamata?» ripete, vedendo che non ho intenzione di rispondere. E in questo stupido gioco di sguardi e provocazioni, mi rendo conto di quanto io sia debole e impreparata. Sto già perdendo di fronte all'intensità del suo sguardo, del suo profumo, del suo modo di fare.

Due piani dopo, le porte dell'ascensore si aprono con un cigolio, e lasciano entrare una signora sulla quarantina, che squadra Cristian con un sorrisetto peccaminoso. Dopo essersi allontanato da me, il mio tutor ricambia il sorriso alla signora, senza un minimo di ritegno. Sembra davvero divertirsi.

Mi schiarisco la voce, evito di guardarlo e faccio finta di non avere il viso incendiato.

Arrivati al piano terra, prima che le porte si aprano nuovamente, Cristian alza mento, si fa serio, e dice: «Ah, Kassandra. Dimenticavo. Niente più cellulare al lavoro. Usalo un'altra volta e puoi considerare annullato il tuo tirocinio.»

Esce, lasciandomi a bocca aperta, dirigendosi al parcheggio interno. Dopo essere rimasta pietrificata per diversi secondi, mi smuovo e lo raggiungo. Montiamo in macchina in un silenzio freddo e cupo, e quando parte, fatico davvero a trattenermi, arrabbiata e presa dal panico.

«Non dicevi sul serio» mi lascio sfuggire, senza nemmeno dare un'intonazione alla frase.

«Mai stato più serio di così, Kassandra» risponde prontamente.

«Perché ti stai comportando così?»

«Sono il tuo tutor. Non posso lasciarti distruggere un altro sgabuzzino pieno di attrezzi che costano un patrimonio, perché sei persa davanti al cellulare. Sei qui per lavorare, Kassandra.» Il suo tono non ammette discussioni, la sua voce è severa, e anche se rimane comunque avvolgente, non vedo altro che il suo profilo attento sulla strada.

Deglutisco forzatamente, non me lo aspettavo proprio. Vista la sua serietà, decido che è meglio non rischiare di perdere il posto proprio ora. Fisso anche io la strada che si apre davanti a noi, mentre cerco di calmare i battiti del mio cuore.

Quando arriviamo, non sembra intenzionato a darmi spiegazioni sulla prossima mossa o su cosa dovrei fare io, sempre se, a questo punto, potrò fare qualcosa. Avanza svelto verso l'entrata dell'ospedale, ancora serio, ancora silenzioso. Affretto il passo per stargli accanto, sentendo già un po' di magone per via dell'atmosfera triste che si fa sempre più prepotente, mentre saliamo i diversi piani della struttura.

BISCOTTI AL CACAODove le storie prendono vita. Scoprilo ora