Capitolo 5

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Stanotte ho sognato mia madre.

Anche dopo la fine della guerra, ha deciso di restare nel Distretto 4, per aiutare nell'apertura di un nuovo ospedale.

Non credo che ritornerà mai a casa. Prima mio padre. Poi Prim. Sarebbe troppo per lei, annegherebbe nei ricordi.

E’ vero, molti di questi sono dolorosi, ma sarebbe un delitto dimenticarli. Per questo ho deciso di raccontarli uno ad uno in un album. Prenderò spunto dal libro delle piante della nostra famiglia.

Forse perché ho paura di non ridarli; di ricordare la voce di mio padre quando canta, Madge mentre mangia le fragole mie-di-Gale, Mags che bacia Finnick e Finnick che mi offre lo zucchero. Ma anche Cinna che viene portato via dalla camera di lancio, Rue trafitta dalla lancia di Marvel, Prim che si trasforma in una torcia umana.

Pagina dopo pagina.

Ricordi felici; ricordi tristi. Comunque ricordi che non possono essere affidati solo alla memoria.

Sentendo dei rumori provenire da fuori, mi alzo dal letto e apro la finestra della camera.

Oggi non nevica e la luce del mattino si diffonde grazie alla neve depositata lungo le strade.

-Cosa stai facendo?- sussurro, cercando di non spaventarlo.

-Sei tu- dice Peeta, voltandosi dalla mia parte.

-Fa freddo. Non può startene lì a fare…- dico, ricordandomi che non so affatto cosa stia facendo.

-Ieri ho pensato che sarebbero state perfette su questo lato della casa-

Sta piantando dei fiori. Delle primule, precisamente.

-Per lei.- aggiunge.

Annuisco. So per chi le pianta. “Prima rosa”, primrose. Per Prim.

Lui sa che lei mi manca.

Come può preoccuparsi ancora  per me?

Come può dopo tutto quello che ha dovuto passare? Dopo le torture, dopo il veleno, dopo la morte di coloro che amava.

Ha sempre dato a me la precedenza su tutto ciò che di più caro aveva. Da due anni a questa parte, il suo primo pensiero è stato quello di proteggermi.

E io, finora, non ho dato la precedenza a null’altro che a progetti infondati e alle mie insicurezze.

Nessuno lo merita, tanto meno io. La sua devozione dell’aiutarmi mi è estranea; e tutt’ora non riesco a spiegarmela.

-Ci vai spesso?- domando.

-Dove?- replica, ancora intento a piantare zolle e radici.

-Alla panetteria-

-No. Ieri è stata la prima volta- dice, accigliandosi leggermente.

-Eri serio quando mi hai detto che non ti manca?- domando, ma poi mi rendo conto che non ho precisato di chi mi riferisco, ma sono certa che Peeta lo abbia capito.

-Si e no- dice, piatto.

-Però tuo padre ti vuole bene- dico d’impulso.

-Me ne voleva- mi corregge, calcando con una particolare enfasi l’ultima parola.

Certo. Gli voleva bene. Mi è venuto naturale parlare al presente.

Sto per chiudere la finestra per l’imbarazzo, ma Peeta ricomincia a parlare.

-Ricordo che una volta mi portò sulle spalle. Avevo sei anni-

Faccio fatica a immaginarmi la scena. Come sua moglie, il padre di Peeta ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto freddo e distaccato, o almeno mi è sempre parso tale. In fondo doveva essere un brav’uomo.

-Mi aveva promesso che se me ne sarei stato buono mentre lui lavorava, avrebbe giocato con me tutto il giorno. Così mi misi seduto in un angolo della panetteria e lo guardavo. Fu la prima volta in cui mi accorsi di quanta attenzione e tempo e fatica occorresse per trasformare un po’ di farina in quelle pagnotte tanto profumate.- Comincia ad avere un’espressione più rilassata. -A fine giornata era stanco, ma mantenne comunque la sua promessa. Mi prese sulle spalle e girammo così per tutto il Distretto-

Come se una scarica elettrica mi traversasse da parte a parte, rimango in silenzio, domandandomi cosa fare.

Vorrei solo abbracciarlo, stringerlo e allontanarlo da tutto ciò che lo fa star male. Invece mi costringo a rimanere dove sono. So per certo che se lo facessi peggiorerei solo le cose.

-Che ne dici di entrare?- dico ad un certo punto, sforzandomi di sorridere.

-Volentieri. Ah, ho portato questi. Potremmo mangiarli con il thè- dice, porgendomi un sacchetto di carta.

Ancor prima di aprirlo, sento distintamente una delicata fragranza di limone. Infatti sono dei biscotti. Mi tornano alla mente quelli che il signor Mellark mi portò prima che entrassi nell’arena. Avevano lo stesso profumo.

-Se non ti dispiace, questi li mangio solo io. Haymitch ha praticamente aspirato anche le briciole delle focaccine e delle brioche che mi hai lasciato la volta scorsa- dico, facendomi passare abbastanza infastidita.

-Sono sicuro di aver lasciato un vassoio pieno anche per lui- giura, con una smorfia piuttosto buffa..

-E’ Haymitch- ribatto.

Iniziamo entrambi a ridere di gusto. Era da tempo che non mi sento così spensierata.

Finito ciò che stava facendo, Peeta si alza e si dirige verso la porta d’ingresso.

Prima di raggiungerlo, dò un’ultima occhiata ai fiori appena piantati.

Ho la sensazione che ogni volta che guarderò questi fiori, non mi sentirò più sola.

Avrò sempre Peeta al mio fianco.

A proposito di Peeta; ora sembra proprio giunto il momento di parlare con lui.

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