Il giorno dopo, quando mi sveglio, trovo Peeta straiato accanto a me.
Indosso ancora i vestiti di ieri e la mia solita treccia si è disfatta al contatto con il cuscino, trasformandosi in un ammasso di capelli arruffati. Cerco di sistemarli usando le mano come un pettine, ma so per certo che la situazione non è cambiata gran chè.
Torno nuovamente a voltarmi verso Peeta e solo ora mi accorgo che mi sta guardando.
-Buongiorno- sussurra, con la voce ancora impastata dal sonno.
Peeta inclina la testa di lato. Ha un’aria divertita.
Poi l’idea che sia a causa mia mi fa arrossire.
-Da quanto tempo sei sveglio?- chiedo, mettendomi subito sulla difensiva.
-Da un paio di minuti-
Abbasso lo sguardo.
Mi sono appena ricordata del bacio dell’altra sera.
Non voglio che lo sappia. E’ stato un atto di debolezza.
Credevo che fosse nei boschi; che non fosse mai più tornato.
Credevo che fosse morto, aggiungo subito dopo.
Così avrei aggiunto anche lui nel numero delle mie vittime.
Morte. Morte. Morte.
Una parola che dovrebbe essere borbottata dietro mani a coprire la bocca o mormorata a porta chiuse. Stanotte invece l’ho sentita urlare. Da Peeta.
Quel bacio è stato solo per sentirlo vivo.
Per sentirlo mio, aggiungo ancora una volta al mio discorso mentale.
Sembro disperata.
-Ti ricordi cosa dobbiamo fare oggi, vero?- mi chiede Peeta, cercando con lo sguardo i miei occhi ormai persi nel bianco delle lenzuola.
Annuisco.
-Certo che mi ricordo- dico, alzandomi -Annie ci aspetterà alla stazione-
Vado in bagno e, dopo aver chiuso la porta dietro di me, mi appoggio con le braccia tese in avanti, sul lavandino. Alzo la testa cercando il riflesso del mio viso nell’enorme specchio rotondo, ma l’unica cosa che vedo è un’accavallarsi di immagini. Un matrimonio.
Lei, bellissima, vestita con un semplice abito verde.
Lui, ancor più bello, le sta accanto.
Dopo il bacio che sigilla la loro unione, iniziano a ballare e con loro anche tutti gli invitati. Sono felici.
E potrebbe continuare così se non fosse per una fitta nebbia che avvolge quello scenario.
Subito dopo tra il fuoco e il fumo c’è un uomo. Cerca di resistere mentre tre ibridi lo dilaniano. Poi un’esplosione; e insieme ad essa nuove immagini.
Un bambino. Corre sulla sabbia lasciando dietro di sé piccole impronte che un’onda si affretta a cancellare.
Il figlio di Annie e Finnick, che ancora deve nascere.
Quel bambino che quando chiederà di suo padre non otterrà altro che lacrime.
Lacrime per non urlare odio cocente, feroce.
Lacrime per impedire alla follia di emergere.
Lacrime per spegnere il dolore che brucia l’anima.
Avvolta dal silenzio, continuo a riavvolgere il nastro di quel film, come se gli incubi non mi terrorizzassero già abbastanza.
Questa volta chiudere gli occhi non serve a nulla.
Mi limito a restarmene lì, aspettando pazientemente, che tutto finisca. Supplico che tutto finisca.
-Tutto bene?-
Sento Peeta chiamarmi da fuori, così apro gli occhi e cerco di fare un respiro profondo.
E come se fossi stata in apnea.
Ho perso la cognizione del tempo. Evidentemente sono rimasta qui più del dovuto se Peeta è venuto ad assicurarsi che stessi bene.
Mi costringo di assumere un’espressione rilassata e quando sono sicura di essere abbastanza convincente, esco.
-Non c’era acqua calda. Ho dovuto aspettare prima che ne uscisse dal rubinetto- mento -Sarà meglio sbrigarci. Il treno partirà fra meno di un’ora-
E’ la prima volta che viaggio in treno dopo il Tour della Vittoria. Mi dà un senso di nausea, ma è l’unico modo per arrivare al Distretto 4.
Mi rendo conto che siamo quasi arrivati perché sento l’odore dell’oceano, anche se è nascosto dalla mia vista.
L’aria è spessa e pesante.
Respiro profondamente, inalando l’odore fresco di alghe e di legno umido, ascoltando i richiami lontani dei gabbiani che volano da qualche parte oltre gli edifici che scorrono dietro il vetro del finestrino.
Per tutta la durata del viaggio, io e Peeta non proferiamo parola. Di solito è lui quello che inizia la conversazione e -se vogliamo dirla tutta- l’unico che riesce a portarla avanti. Ragion per cui, quindi, non trovo il motivo per farlo io.
Ancora immersa nei miei pensieri, il solito fischio sordo e lo sfregare dei binari, ci avvisa di essere arrivati a destinazione.
Tra la folla che si accalca intorno a treno, non fatico a scorgere la figura di una donna poggiata a braccia conserte, contro un palo degli orari.
Rimango immobile nella mia postazione, come pietrificata. E con me Peeta.
Una figura che non vedo dall’inizio della guerra.
La pelle scura. I capelli corti. Johanna.
Prima che me ne accorga, ci avvicina.
Non so se essere felice, saltandole al collo o se abbassare lo sguardo in una morsa di colpevolezza.
Peeta finalmente sembra riprendere la capacità di parlare e le chiede che ci fa al Distretto 4.
-Per Annie- dice lei –Mi ha offerto di vivere qui subito dopo la sua morte-
La sensazione di prima si impossessa nuovamente di me.
Le gambe mi cedono, stringo denti. Sto per crollare.
Afferro la mano di Peeta e la stringo. Forte. Ho paura che gli stia facendo male,perché sento i suoi occhi puntati su di me. Oppure è preoccupato.
-Andiamo- dice Johanna.
Non capisco. Ci dovrebbe essere Annie. Ma dov’è? Sembra che anche Peeta se lo stia chiedendo e infatti lo chiede anche a Johanna.
-Annie non verrà- dice lei e con un debole sorriso. Annie sta per diventare mamma.
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Hunger Games Fanfiction
FanfictionQuello di cui ho bisogno per sopravvivere non è il fuoco, acceso di odio e di rabbia. Quello di cui ho bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una...