bum.

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Bum. Bum. Bum.
Bum.
Bum. Bum-

Sento un sospiro uscire dalle labbra di qualcuno che pare essere cosí vicino da riuscire a soffiarmi sul collo e smetto di battere i polpastrelli sulla figura in legno chiaro della chitarra che tengo sopra le cosce.

Alzo gli occhi diffidente, facendomi strada tra i ciuffi che mi coprono la vista: un ragazzo con i capelli ossigenati mi si é appena seduto accanto, accomodando il fondoschiena sul marciapiede e incollando la schiena contro il profilo del palazzo. Dopo qualche secondo, perso a girare le mani tra loro e a muovere in maniera convulsa le gambe, si accorge di essere osservato e gira la testa per accennare un sorriso. Ricambio.

I suoi occhi azzurri mi trafiggono, sembrano sinceri. La collana di stoffa che ha al collo lo fa un po' meno, tagliandomi di netto il respiro.
Lui sembra voler continuare a starsene per le sue, mangiando l'ansia tra sospiri accennati e altri così plateali da innervosirmi, così frugo tra le tasche e mi caccio una sigaretta in bocca.

Non pensare che sia io la prima a tendere la mano.
Solo i deboli e le persone per bene lo fanno e io non rientro in nessuna delle due categorie.

"Prima volta?"

Sussulto appena e la cenere mi cade tra le ginocchia, sporcando i pantaloni e la chitarra. Il ragazzo mi guarda con mezzo sorriso, la sua faccia da barretta Kinder fissa la sigaretta e così lo faccio anche io.

"No, non intendevo fumare." -ride- "Chiedevo se é la prima volta che provi, qui." -continua poi, indicando gli Studi a pochi metri oltre il cancello.

Mi perdo per un secondo a fissare la marmaglia di ragazzi che costruiscono e disfano gruppetti appena abbozzati di massimo dieci persone. Il sole stanco di Ottobre lecca le tante palpebre assonnate e spalanca le mie, che tiro a me la chitarra e scarico la cenere guardando l'orologio con su scritto 07:14.

"È il penultimo provino prima della puntata madre." ripeto dentro la mia testa e mi prometto di essere gentile, almeno oggi, almeno adesso che siamo rimasti un'ottantina di anime.

"Sì, forse anche l'ultima." -ammetto, pensando a Nico come un angelo che ti benedice una sola volta nella vita- "E tu?"

Il ragazzo rifiuta la sigaretta che gli offro come segno di pace, in caso abbia involontariamente usato quel tono scazzato e triste che ho come marchio di fabbrica, e divarica le labbra sottili, che rimangono sempre tirate in un sorriso plastico (forse ansioso), per rispondere.

"Oh, beh." dice solo, fermandosi a ridere con un po' di stupore mentre si fa distrarre da qualcuno che cammina alla mia destra, dal lato opposto in cui si trova lui.

Mi volto di scatto e una macchia di rosso mi si stampa sopra le iridi nocciola, mescolandosi per dare vita ad un grigio confuso come fumo che mi appanna la mente. Dopo qualche secondo la macchia si ridefinisce meglio nei suoi contorni e prende la forma di un maglione oversize che avvolge una ragazza con le cuffiette alle orecchie e gli occhi bassi sul telefono stretto a due mani.

Teniamo il cellulare alla stessa maniera, buffo.

Cammina da sola, non dá confidenza, non si guarda intorno, come se fosse legata da una corda immaginaria che le si avvolge attorno alle braccia e la vita. Ha solo uno zainetto in spalla, due pantaloni troppo larghi per una giornata di sole e il passo silenzioso. Dopo qualche metro alza la testa, nascondendo gli occhi dietro lenti scure, e si guarda intorno come per essere sicura di trovarsi nel posto giusto. Poi, si ferma di sana pianta e poggia contro una delle ringhiere che circondano gli Studi, tornando alle sue cuffiette, al suo telefono, alla sua bolla.

"Non ci credo." -sospira il ragazzo- "Non l'avevo mai vista le volte precedenti. Forse è uno dei vantaggi di essere rimasti in pochi: ora, per un piccolissimo istante, puoi sentirti qualcuno tra i tanti."

Io continuo a fissare i suoi capelli castani e il modo in cui prende aria a intervalli irregolari, come se stesse contando per ricordarsi di respirare.

Io ti ho già vista.
E non so se odiarti per questo o compatirti.

"La riconosci?" mi chiede.

"Forse. Ma non sono sicura."

"Gaia Gozzi. Ha partecipato ad X-Factor quattro anni fa. Si era piazzata bene, ma non deve aver fatto molta strada fuori se.. Beh, se é qui come noi."

Sento le tempie bruciarmi e tiro d'un fiato quel che rimane della sigaretta. Ora la ricordo, lei e i suoi occhi azzurri troppo distanti, adesso.

"Cazzo, sei un falco. Come hai fatto a riconoscerla subito?"

Lui scoppia a ridere e si stringe le ginocchia cingendole con le braccia. Forse non è così male.

"Perché questa non è la mia prima volta." -mormora, cambiando decisamente tono di voce- "Ho partecipato alla stessa edizione di Gaia, ma me ne sono andato alle audizioni."

Ingoio la saliva cercando di capire se debba ricordarlo o meno, poi penso che avevo appena quindici anni a quell'epoca e che in realtà, ora, non me ne frega un cazzo.

"Comunque piacere, Francesco."

Pulisco la mano sui pantaloni, sperando che lui apprezzi.

"Piacere, Martina."

Mi sorride e fa un occhiolino sgangherato, tornando a guardare la ragazza e il suo maglione rosso. Mi chiedo che cosa voglia da lei. Un ricongiungimento? Esser riconosciuto per alimentare un ego mai nato? Amicizia?

La guardo anche io, ora, e mi vengono in mente spezzoni di alcune sue esibizioni. Sembra diversa, adesso che ci faccio caso.

Perché ho voglia di sentirla parlare?

Il Sole con la Pioggia.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora