Infilzo la carne con i denti della forchetta, sbuffando quando questa si oppone alla presa. Non appena tiro su le maniche per metterci più forza, sento Giorgia scoppiarmi a ridere di fronte e quando la trovo con le guance gonfie e la mano davanti alla bocca, mi metto a ridere con lei.
"Ma come cavolo mangi, Cubanito?" -chiede poi, dopo aver inghiottito- "Sembri un vitello con quell'insalata."
Javier, seduto al tavolo quadrato accanto al nostro, tira su la testa dal piatto e i suoi grandi occhi da Peter Pan spuntano da sotto il ciuffo di capelli lanosi. Ha ancora qualche foglia verde imbevuta d'aceto tra le labbra e Talisa, che gli sta di fronte, unisce la sua risata incontrollata alla nostra. Lui scuote la testa con mezzo sorriso, prendendo un sorso d'acqua, e ritorna a raggobbirsi sul cibo farfugliando qualcosa in cubano stretto che sembra voler dire io le donne non le capirò mai.
"No si capisce se mangia peggio tu o Martina. Sembrate due maiali."
Javier alza le spalle e le sorride usando solo gli occhi e metá della sua bocca rotonda. Talisa si passa una mano tra i capelli, come se un'ondata di calore improvvisa l'avesse fatta girare e girare e girare fino a perdere il senno, e io e Giorgia ci scambiamo un'occhiata che potrebbe voler dire poche cose.
Non si gioca con il fuego, Tali.
È fidanzato e tu hai il cuore troppo giovane e nuovo per rischiare di cominciare a segnarlo con delle cicatrici."Marti almeno non fa tutti i versi da animale." continua e dai suoi occhi languidi capisco che non riesce a sentire i miei pensieri.
Martina, si ripete nella mia testa. E poi scivola giù, come gocce che perdono da una grondaia. Arriva al collo, alle clavicole, fino a darmi un leggero brivido, e cola al centro del petto per scaldarmi lo sterno. L'avevo capito quella sera, sul balcone di quest'hotel che si è fatto così banale per dare il giusto peso alle persone che ci sono dentro, quella sera che pareva troppo innocente per chiedermi di vestire la solita corazza. E così lei era entrata dentro senza che me ne accorgessi, senza sfondare alcuna porta, aveva visto la polvere sui miei organi e aveva capito che doveva andarci piano, con me.
Io l'ho tenuta dentro per un po', fino a capirla, come se l'averla fatta entrare fosse solo una gabbia per studiarla meglio. E lei non se n'è più andata: ora io le do da mangiare e lei spolvera sui mobili che ho dentro.
"A proposito, dov'è che è finita? Non l'ho vista scendere."
"Sì ma non darlo troppo a vedere che ti manca quell'omosessuale." rimbecca Giorgia, battendo l'indice sulla stecca del cucchiaino per coprire le pennette di formaggio.
Spingo gli occhiali lungo al naso, centrando la montatura sul triangolino tra le lenti, e la guardo ridere sotto i baffi dondolando la testa come un lampadario.
"Sei una deficiente."
"Dovevo. Sono arrabbiata con te perché hai fatto sembrare il mio tema una merda da bambina delle elementari."
Giorgia veste quel suo labbruccio finto che usa sempre per accalappiare il perdono delle persone e io mastico in silenzio pensando che è stato il destino a farmi il favore di metterla nel letto accanto al mio.
"Ma smettila, Pepa girl."
Mi guardo intorno e vedo tutti e tre muovere la testa in maniera meccanica, su e giù, all'unisono, coordinati. Gli occhi innocenti di Javier sbattono su quelli convinti di Talisa e su quelli furbi e meschini di Giorgia. Ci mancava che andaste pure a tempo, dico tra me e me.
"No litigate." -ci redarguisce Talisa, sistemandosi sul posto- "È normale, Giggi. Ormai vivete ogni secondo del minuto insieme."
Dici che è solo per questo, Tali?
Perché se insisti, sono costretta a pensarla come te.
E potrebbe piacermi credere a questo piuttosto che alla morsa che mi blocca il fegato.