26 Maggio. (Inverno)

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INVERNO

L’Inverno è l’ultima stagione. L’Inverno è la coperta sopra le gambe. L’Inverno è la bufera di neve che piove come fosse zucchero ammantando candidamente l’anima. La sinestesia fatta stagione, un Fa minore che si sente malinconico colorandosi il viso di verde ma nascondendo a fatica un rosso che poco ci azzeccherebbe. Perché lo scarlatto è passionalmente teso e agitatissimo. L’Inverno non può permettersi giganteschi sbalzi. L’Inverno, consapevole del resto dell’anno e del resto del percorso è un saggio in cima all’eremo che osserva silenzioso i frutti della vita. Un giudizioso narratore che tutto conosce e appanna i baci che sanno di miele.

I miei amici avevano imparato ad odiarla così velocemente che io non avevo potuto far altro che innamorarmi di lei. Ha la puzza sotto il naso, diceva qualcuno. Figurati se una come quella parla con te perché le stai simpatica, vivete su due mondi opposti, ti scrive perché le fai pena, arrivavano a credere. Qualche volta sentivo ammettere cose come Ha l'aria da stronza patentata, di quelle che vogliono cambiare il mondo e poi non sanno né di carne né di pesce.

Loro avevano sempre avuto un senso di protezione verso la mia solitudine che i giorni di festa cristiana si vestiva di scetticismo e cattiveria rancorosa e io, che non ero ancora capace di allacciarmi le scarpe da sola, li lasciavo fare finché si accorgevano di aver superato il limite di velocità. Con Gaia erano partiti a folle.

L'avevo conosciuta ad uno stupido evento cittadino tenutosi a Milano nell'inverno di un anno bisestile. Mi ci aveva trascinato il vecchio gruppo del Conservatorio, con la speranza di convincermi una volta per tutte a tentare la strada della vita nascosta dentro gli spartiti. Ricordo che faceva caldo, per essere gennaio, e che l'aria gelida ti pungeva la punta del naso: forse avrei dovuto capirlo dalla luce limpida che il sole lasciava passare tra i batuffoli di nuvole o dal vecchio addormentato sulla panchina della stazione. Non era un giorno come gli altri, dopo poche ore avrei fatto amicizia con i suoi occhi.

Allegro non molto. Primo movimento. Insicurezza ilare assolutamente palpabile. La tensione fra le note si sente, essa stessa è consapevole di potersi far tagliare con un coltello. Rapidamente uno studio un po’ timido si fa luce nella melodia che creano occhi dentro altri occhi. Come se con questi passetti ritmici si trovasse il segreto dell’incontro.

"P-posso.." ero stata capace di balbettare.

Gaia aveva spostato lo sguardo malinconico dalla sua tazzina di caffè e lo aveva adagiato sui miei capelli arruffati. Aveva ancora le labbra protese a soffiare aria fredda sulla schiuma color fango, quando io avevo già perso la testa per la profondità cupa dei suoi occhi e le sue labbra secche.

"Scusa, non volevo disturbare." -avevo detto dopo aver deglutito a forza- "La ragazza non mi ha dato la bustina di zucchero, posso prendere la tua? Ho visto che non la usi."

Di nuovo, lei aveva mosso solo gli occhi: per un attimo avevo pensato che fosse sordomuta, poi la sua bocca si era aperta in un sorriso e le sue dita affusolate avevano fatto scorrere il piattino di ceramica lungo il bancone del bar.

"La vita è amara e va vissuta senza bugie." aveva sussurrato prima di bere, nascondendo un sorriso dietro il bordo della tazzina.

"Mettere lo zucchero nel caffè significa mentire?"

"Uno dei modi più semplici per farlo."

"E il più difficile?"

Gaia aveva finito il suo caffè amaro leccandosi gli angoli della bocca con la punta della lingua, poi aveva guardato l'orologio al polso e fatto leva su di un piede per rivolgermi la facciata del suo corpo.

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