Capitolo Tre

17 1 0
                                    

Frank non riusciva a credere ai suoi occhi.

Ok, aveva visto morti prendere vita, statue che parlavano, mostri che volevano mangiarlo, ma nulla era paragonabile alla bellezza del castello che aveva davanti a se, con le sue alte torri scure che svettavano contro il cielo.

Sembrava avvolto da un'aurea strana, come se la Foschia ne impedisse la vista e il ragazzo non vedeva l'ora di entrarci.
Hazel camminava al suo fianco, in silenzio. Doveva essere felice di essere tornata almeno un po' indietro nel tempo. Se fossero arrivati al millenovecentoventotto sarebbero stati addirittura all'anno della sua nascita.

La ragazza si voltò a fissarlo e gli sorrise, gli occhi ambrati che brillavano.
Frank ricambiò stringendo la sua mano nella sua. C'era stato un tempo in cui Hazel si sarebbe scandalizzata anche solo per quel minimo contatto fisico, ma ormai si era abituata al ventunesimo secolo.

"Secondo te come sta Piper?" chiese lei d'un tratto. "Praticamente non ci siamo più parlate da quando è successo"
Frank sospirò. "È più facile dire chi sta peggio"

Sentì per un attimo Leo che li fissava a due passi da loro, prima che sentisse il suo solito tono divertito: "Ehi Frank, che dici? Ti trasformi in un'anguilla per visitare meglio questo lago?"
Ecco, lui era uno di quelli a cui davvero sembrava non fregasse nulla. Eppure Leo era il migliore amico di Jason, avrebbe dovuto importargli e invece... 

Frank accelerò il passo salendo nella carrozza guidata da degli strani cavalli neri dove già c'erano Annabeth, Percy e Piper, seguito subito dopo da Hazel.
Aspettarono qualche secondo l'arrivo di Leo, ma visto che non arrivava la carrozza partì, senza di lui. In realtà Leo Valdez non era molto lontano, solo che di colpo non aveva più avuto voglia di cercare di farli ridere e si era fermato ad accarezzare i Thestral, così li aveva chiamati uno dei maghi.

"Ciao Leo" Sobbalzò nel sentire qualcuno pronunciare il suo nome.
Una ragazzina di qualche centimetro più bassa di lui, con una cravatta blu e nera, lo osservava con un luccichio divertito nei grandi occhi azzurri.

"Scusa, non sono proprio in vena" replicò il ragazzo sedendosi nella carrozza appena arrivata. A suo malincuore la ragazzina lo seguì accomodandosi al suo fianco.
"Tranquillo, fa' finta che io non esista. Non importa." Rispose lei con un sorrisetto.
Leo le lanciò un'occhiata incuriosita, così come avrebbe osservato un marchingegno nel tentativo di capirne il funzionamento.
Non disse nulla però, non aveva più le forze di fingere un sorriso.

****

"James"
"Uhm?"
"Hai ascoltato almeno una parola di quello che ho detto?"
"Se ti dico di no, che fai?"
Remus sbuffò lanciandogli un'occhiataccia.

"A che stai pensando?" chiese poi perché ormai lo conosceva da sei anni, sapeva com'era fatto, nonostante certe volte non lo sopportasse.
"A quel ragazzo" ammise James passandosi una mano fra i ciuffi scuri.
Sirius alzò lo sguardo su di lui e annuì. "Che poi hai visto? Sono nella coda di quelli che devono essere smistati"

"Era quello che vi stavo dicendo!" sbottò Remus. "Come fanno ad avere più o meno la nostra età e non essere mai stati qua? E non hanno neppure una bacchetta"
"Forse si è rotta" Tre paia di occhi si girarono a fissare Peter, incerti su come reagire alla sua esclamazione, ma furono interrotti dalla voce di Silente, il preside della scuola, che presentava i nuovi studenti.

"Ragazze e ragazzi, lo so che fremete per iniziare a mangiare, ma devo fare alcuni annunci.
Prima di tutto, come avrete già notato tra i ragazzi da smistare ci sono anche alcuni un po' più grandi. Non vi preoccupate, sono esattamente come voi, solo con qualche anno di ritardo negli studi perciò aiutateli per quanto potete, mi raccomando" Rassicurò Silente.

Non era affatto vero, ma come avrebbe potuto spiegare senza, però, far trapelare quella notizia che sei ragazzi erano venuti dal futuro per avvisarli di un prossimo pericolo e della morte di tutti i maghi?
Era meglio optare per una mezza verità e anche la professoressa Mcgranitt aveva concordato con lui.

"Allora che lo smistamento abbia inizio" proclamò alzando il calice di succo di zucca con un sorriso sulle labbra.

La Mcgranitt posizionò il Cappello Parlante, un logoro indumento pieno di strappi che ogni anno decideva la casa di appartenenza degli studenti.
La professoressa sistemò la seggiola e iniziò a chiamare.
Quella volta, però, nessuno prestò particolare attenzione alla marea di undicenni, quanto piuttosto tutti aspettavano solo che uno di quelli grandi fosse chiamato.

"Annabeth Chase"

La ragazza indossò il cappello e quello iniziò a parlare:
"Un coraggio da vendere e un'intelligenza niente male. Sono davvero in dubbio... ma penso che saresti meglio in... GRIFONDORO"

Annabeth si alzò incerta e la professoressa le indicò il tavolo rosso e oro.
Si sedette accanto a una ragazza con i capelli rossi e poi puntò subito gli occhi sui suoi amici, in particolare su Percy, e trattenne a stento un sospiro.
Perché? Perché doveva comportarsi così?

Forse era egoista da parte sua, ma non sapeva cosa fare con lui. Avrebbe voluto che lui la seguisse, così gli avrebbe spiegato per filo e per segno cosa fare in caso di lutto e invece no, non era così che andava il mondo.

"Percy Jackson"

E se fosse stato mandato in un'altra casa? No, Annabeth non avrebbe mai potuto separarsi da lui, non in quel momento, con lui in quelle condizioni.

"Sei una persona estremamente forte Percy Jackson e mi dispiace" sussurrò il cappello. "Posso fare un'unica cosa per aiutarti... GRIFONDORO"

Il ragazzo annuì avviandosi per la sala sotto gli occhi di tutti. Si sedette al fianco di Annabeth rivolgendole un piccolo sorriso.
La ragazza sospirò. La cosa che più odiava in quel momento era in realtà un'altra: il fatto che lui non voleva minimamente scaricare il suo dolore su di lei, peggiorando la situazione e caricandola di tensione repressa.

Dieci minuti dopo, appena ebbe finito di chiamare Frank, spedito in Tassorosso insieme a Hazel, il cappello tacque per qualche secondo e la Mcgranitt stava per portarlo via quando quello ricominciò a parlare:
"Una morte, una vita
è l'orologio del destino,
sempre più vicino.
Un tradimento è a un passo
il letto caldo a un altro
il tempo risuona
dei suoi gelidi rintocchi
nella speranza che
un mondo nuovo
riappaia"

Tutta la sala fece silenzio e Percy impallidì di colpo, mentre Annabeth gli poggiava una mano sulla spalla, preoccupata.
Avevano viaggiato trent'anni indietro nel tempo e non era bastato. Avevano comunque ricevuto l'ennesima odiosa profezia che avrebbe condizionato i loro destini e Percy non riusciva più a sopportarlo.

Si alzò di scatto allontanandosi dalla sala sotto lo sguardo del preside e di Annabeth. Non voleva perdere ancora qualcuno, non di nuovo.
Intravide un cartello del bagno e ci si fiondò dentro.

Appoggiò i gomiti al lavabo e osservò il suo viso stravolto nello specchio.
Sospirò cercando di regolarizzare i battiti del suo cuore.

"Percy!" Annabeth entrò nel bagno guardandolo apprensiva e lui avrebbe voluto davvero dirle che sì, andava tutto bene, ma sapeva che era falso.
Si accorse solo dopo un po' che lei lo stava abbracciando, come se volesse trattenerlo sulla terra, nonostante lui si sentisse come un palloncino, pronto a volare via.

"Percy, per favore" sussurrò lei, le lacrime negli occhi grigi.
Non l'aveva ancora vista piangere da quando Jason era morto e Percy si sorprese per qualche attimo prima di tornare nell'oblio della sua testa.
Annabeth lo strinse più forte, iniziando a singhiozzare.
"Smettila di fare così, ti prego, torna in te..."
Avrebbe voluto esaudire il suo desiderio, davvero, ma non riusciva nemmeno a rendersi conto della realtà circostante.
Il ragazzo si alzò in piedi, abbassando lo sguardo.
"Mi dispiace" mormorò solo, prima di allontanarsi.

Time ChangeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora