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"Io ti giuro che lo so,
che la vita fa male.
Madonna se fa male,
se la stai a guardare senza di me,
senza di me"

Yongsun sperava davvero che fosse stato tutto un grande equivoco.

E non lo pensava perché detestava quella dannata solitudine che l'aveva avvolta nelle sue braccia gelate.

Non lo pensava nemmeno perché - ovviamente, direi - non voleva credere a ciò che era accaduto.

L'unica cosa che la portava a pensare ciò, era lo stato in cui sarebbe finita Byulyi se l'avesse lasciata.

La conosceva così bene che sapeva - ed era terrorizzata da ciò - fin dove potesse spingersi, e nella sua mente l'unica parola che riusciva a manifestarsi era la più grande sconfitta che possa palesarsi per un essere umano: la depressione.

Sarebbe caduta parecchio in basso, e lei non se lo sarebbe mai perdonato.

La sua mente sarebbe crollata come un grande castello di carte da gioco, sgretolandosi pian piano nel nulla.

Sarebbe stata a guardare la vita andare avanti senza di lei, e non sapeva se le avrebbe fatto bene, o un male atroce, di quelli che partono dal petto e ti lasciano senza fiato, in cerca un sollievo che non puoi effettivamente trovare.

E se si fosse uccisa?

Wheein si rigirò nel letto, abbracciando involontariamente la ragazza, ancora sveglia, persa nei suoi pensieri.

Perché ci pensava così tanto?

Era stata colpa sua, no?

Non era più nulla per lei, allora perché non riusciva ad andare avanti?

Le mancava il respiro, doveva uscire, uscire da quel labirinto di pensieri confusi che la tenevano ancorata a quella sera, non poteva davvero sopportarlo un minuto di più.

Il soffitto venne illuminato dai fari di una macchina che passava.

"That's it, ho bisogno di una passeggiata" pensò, tentando di alzarsi dal letto.

Ma Ggomo non la pensava così, e si acciambellò sulle sue gambe, impedendole ogni movimento, mentre si leccava con gusto la zampa destra e faceva le fusa.

Yongsun lasciò fuoriuscire un accenno di risata dalle sue labbra, piuttosto divertita dallo scherzo che le aveva riservato il destino.

"Guess I'll have to sleep, huh?"

Quindi, alla fine, rassegnata, si girò verso la sua migliore amica, e la strinse in un abbraccio in cui sperava si potesse finalmente nascondere dalle sue più grandi paure.

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La giornata iniziò con un gran fracasso da parte della stupida sveglia di Wheein, impostata alle ore 7:30, per ricordarle di andare a lavorare in quello stupido negozio di stupidi animali in fondo alla stupida via.

La monotonia era sempre stata la protagonista onnipresente della vita di Wheein.

Ogni giorno era sempre la stessa storia: come poteva continuare a camminare quando l'unico motivo che la spingeva a farlo era quello spiraglio di speranza che non arrivava mai?

Lei era sempre la prima ad offrire tutto agli altri, ma perché nessuno capiva che anche lei aveva bisogno di una mano?

Di qualcuno che la prendesse e le svuotasse la testa da tutto, proprio tutto, dalle stupide cotte del liceo alle risate fatte insieme ai suoi compagni della scuola di danza le sere d'inverno, quando nessuno voleva lasciare la sala per prendersi il gelo di gennaio.

Perché se non avesse avuto quei piccoli spiragli di felicità, non avrebbe avuto nemmeno il bisogno di averne altri.

E lo vedeva perfettamente specchiato nel viso della sua migliore amica, ancora dormiente sul suo letto dalle lenzuola bianche; quel bisogno di felicità, quella che le era stata portata via all'improvviso.

Che aveva vissuto con così tanta passione, che non trovava nemmeno un motivo per cui continuare senza di lei.

Wheein si alzò dal materasso, così confortevole e caldo in quella mattina di inizio dicembre, e si indirizzò verso l'armadio, per scegliere cosa indossare in quell'odiosa giornata di lavoro.

Nemmeno lei sapeva perché aveva scelto quel negozio di animali.

Poteva benissimo stare in strada a ballare con gli altri, chissà, magari qualcuno saltava fuori dal nulla e la assumeva come backup dancer degli EXO, fine, ciao, si pigliava una villa e passava le sere ad accarezzare Ggomo mentre in sottofondo una canzone jazz la accompagnava nella bevuta di un bicchiere di vino rosso.

Ma non era andata così, e non poteva fare altro incolparsi per tutto il tempo che le rimaneva da vivere.

E voi, probabilmente, nel frattempo vi starete chiedendo: chi erano "gli altri"?

Beh, questa è un'altra storia, e forse lo capirete più avanti.

La ragazza si sfregò il naso, ancora intontita, cercando invano di togliersi di dosso la stanchezza, pur sapendo di non poterlo effettivamente fare.

Finché la sfortuna non piombò su di lei, come suo solito, alle 7:33 in punto.

-KYAAAAH, holy sHIT!

esclamò all'improvviso, guadagnando un grugnito da parte della sua migliore amica, che era ancora beata nel mondo dei sogni, e qualche fusa da parte di Ggomo, che si risistemò pigramente sulle sue gambe.

La giornata non poteva iniziare meglio di così.

Oh, scusate, è un libro, non potete capire il mio tono di voce: sono sarcastica.

Wheein aveva accidentalmente calpestato la sua tavolozza, ancora sporca di tempere dalla sera precedente.

-Che schifo, porca puttana- madonna santissima immacolata-

imprecò sottovoce, saltellando goffamente su un piede solo in direzione del bagno.

-Odio la mia vita, ma Dio-

continuò a sussurrare insulti a divinità casuali, mentre si lavava il piede con l'acqua gelata che fuoriusciva dal rubinetto del bidet.

Perlomeno, era riuscita a scrollarsi di dosso la sonnolenza.

Asciugò il suo piede frettolosamente, l'irritazione ormai fondata nella sua povera mente, uccisa ogni giorno dalle sue stupide azioni: "dipingere alle 3 di notte" faceva parte della lista.

Assieme a "lavorare al negozio", "aver abbandonato la scuola di danza" e "aver permesso a Byul di ferire Yong".

Si guardò nello specchio, i pugni stretti, lo sguardo arrabbiato e ormai sconfitto: non si riconosceva più in quel viso.

Era il volto di una persona che si rifiutava di accettare, una persona che si era promessa di non diventare, e invece eccola lì.

Che la guardava dallo specchio.

Come a dire "eccomi, sono qui. Sei una deficiente, Wheein!".

Non si sarebbe mai perdonata di non essere stata capace di evitare quell'enorme sofferenza alle sue migliori amiche.

Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

La ragazza si schiaffeggiò debolmente le guance, provando a ristabilire l'ordine all'interno dei suoi pensieri.

E alla fine scoppiò in una grande risata.

Oh mio dio, quanto era patetica.

Uffa [Moonsun]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora