Capitolo 3

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La prima settimana al Saint Louis Institute fu la più dura. Inizialmente pensai che non mi sarei mai abituata alla mia nuova vita.

Nonostante la compagnia fosse piacevole, il tempo passava lentamente e mentirei se dicessi che la cosa non mi pesava affatto.

Per anni la mia vita era stata un susseguirsi di fughe, notti insonni e pensieri troppo rumorosi per permettermi di stare ferma e, in quel momento, tutta quella pace imposta mi stava decisamente stretta.

Ero consapevole del fatto che il Saint Louis fosse la mia unica speranza di avere una vita "normale" e fu solo per quel motivo che qualche settimana prima accettai, non proprio di buon grado, di farmi ricoverare.

Devo essere sincera, tutto quello che l'istituto rappresentava era parecchio lontano da ciò che reputavo tollerabile: il sacrificio della libertà individuale per una futura esistenza socialmente accettabile non rientrava affatto nelle mie corde.

Mi ero sempre orgogliosamente autodefinita una persona indipendente ma questo lato della mia personalità si rivelò ben presto in contrasto con gli ideali dell'istituto.

Scoprii con immenso disappunto che in quel luogo la poca libertà che ci rimaneva, l'indipendenza e le inclinazioni personali venivano spesso soffocate da un utopico benessere comune.

Lo scopo dell' Saint Louis era rendere i suoi centoventi ospiti adatti alla società.

Alcolisti, tossicodipendenti e piccoli criminali entravano in istituto sotto forma di piccole bestiole feroci e ne uscivano come cittadini modello, persone sane con un ridente futuro ad attenderle.

Non ho mai creduto troppo nella magia.

Per esperienza posso dire che è molto difficile che le persone cambino veramente però io in quel preciso momento necessitavo di un futuro e quella era l'unica via per ottenerlo.

Era l'ora di pranzo ed eravamo tutti e cinque in salotto e, nonostante il pranzo fosse pronto da un po', stavamo aspettando che Evan rientrasse dalla riunione del mattino, per poter mangiare tutti insieme il delizioso pollo al forno che Andrew aveva appena tolto dal forno.

I gemelli stavano bisticciando come a loro solito.

Era bello vederli insieme, avevano un legame molto particolare, di quelli che smuovono il mondo.

Mi ricordavano talmente tanto i miei fratelli da fare quasi male.

-Mamma non ti ha fatto le orecchie? Non senti che hanno suonato alla porta? Vai ad aprire! -

-Ai suoi ordini mia regina-rispose il fratello scattando sull'attenti ridendo.

Sentimmo dei borbottii indistinti, poi Andrew apparì sulla soglia della cucina seguito da Evan e un ragazzo che ero sicura di non aver mai visto prima di allora.

-Andrew, vuoi fare tu gli onori di casa? -

Feci di tutto per non scoppiare a ridere per la faccia disgustata di Drew.

-Ragazzi lui è Joshua Brooks, è il nostro nuovo coinquilino. Loro sono Aaron, Dylan, Megan e quella pazza là infondo è mia sorella Rachel- disse il ragazzo indicandoci uno per uno.

Sentii lo sguardo del nuovo arrivato scorrere su tutti i presenti. Per un attimo sembrò volerci entrare sottopelle, come se stesse cercando di carpirci i nostri segreti più profondi.

Non saprei come definire Joshua Brooks se non "imponente": superava di un bel po' il metro e novanta e le spalle larghe, accompagnate da braccia robuste, contribuivano nel farlo sembrare enorme.

Nonostante gli abiti fossero puliti, i lunghi capelli corvini ordinatamente legati e la barba avesse un aspetto ben curato, qualcosa in lui tradiva un recente stato di trascuratezza.

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