Capitolo 7

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Sai cosa succede se metti nello stesso appartamento sei persone che non sanno stare al mondo?

Secondo Evan, che di psicologia ne capiva decisamente più di noi, le cose sarebbero potute andare in due modi diversi: saremmo potuti diventare gli uni la famiglia degli altri, spronandoci a dare il meglio di noi e, di conseguenza, uscire insieme dalle situazioni di merda in cui ci eravamo abilmente infilati. Oppure le divergenze tra di noi sarebbero state talmente grandi da mandare in fumo ogni possibilità di riscatto sociale, rendendoci ufficialmente dei derelitti.

Se ho imparato qualcosa da mio fratello maggiore è che la vita, spesso, si presenta a noi come un'equazione: per risolvere i problemi è necessaria la fine abilità di valutare attentamente tutte le incognite possibili e, contemporaneamente, essere consci del fatto che una delle opzioni sia non aver preso in considerazione tutte le ipotesi.

Ecco, questo fu il più grande errore di Evan: non prendere in considerazione tutte le ipotesi.

Nel nostro caso le cose andarono in modo decisamente diverso da quanto avesse immaginato il nostro responsabile.

Era passato poco più di un mese dalla scenata di Josh e, considerando con chi avessi a che fare in quel periodo, le cose andavano veramente bene.

Se non fosse stato per la terapia psicologica obbligatoria e il divieto di lasciare l'istituto senza un'autorizzazione firmata dalla direttrice, mi sarei pure potuta abituare a quel posto. La compagnia era buona, le giornate piene e le notti trascorrevano tranquille tra una chiacchiera e una sigaretta. Certe volte riuscivo anche a dormire per più di due ore consecutive, cosa che era praticamente un miracolo.

Il Saint Louis Institute era un luogo ricco di pace, proprio come riportavano gli opuscoli illustrativi.

Nel nostro appartamento aleggiava talmente tanta pace da spingerci a ritrovarci tutti e sei nella camera di Rachel.

Rachel aveva l'ultima stanza infondo al corridoio del secondo piano ed essendo la camera più grande dell'appartamento, nonché la più lontana da quella di Evan, era decisamente il luogo migliore per ritrovarsi di nascosto.

-Ragazzi, detto proprio sinceramente, io non ce la faccio più. Ho bisogno di uscire di qui. - Disse Dylan sdraiato a stella sul pavimento.

-Ma sei pazzo? Saresti disposto ad uscire una volta per passare il resto della tua vita in carcere? - replicò nervosamente Rachel.

Ed eccoci al punto dolente della situazione: il Saint Louis Institute era una clinica specializzata nel recupero di giovani con tendenze criminali.

Cosa significa? Beh, è semplice: tutti gli ospiti erano ex criminali che per una ragione o per un'altra non erano stati incriminati e dovevano essere ri-educati per poter poi essere reinseriti nella società. Le condizioni per non essere rispediti a Londra per un soggiorno di bellezza presso Scotland Yard erano quattro: non commettere crimini, non uscire dall'istituto senza il permesso della direttrice, non fare uso di sostanze o alcol e sottoporsi alle sedute psicologiche tutti i giorni.

Tutto molto semplice se non si considera la nostra patologica incapacità a stare fuori dai guai.

Aaron era forse l'unico, tra tutti gli inquilini dell'edificio numero cinque, a essere totalmente a suo agio con le regole imposte dalla signorina Smith.Persino Evan, certe volte, sembrava desideroso di farsi un goccetto.

Ma Aaron no. Non si era mai lamentato di nessuna delle rigidissime regole che dovevamo regolarmente seguire. Mi era capitato più di una volta di chiedermi per quale motivo l'adone si trovasse in un posto del genere ma, nonostante la mia immensa fantasia, non ero mai riuscita a trovare una risposta soddisfacente.

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