Capitolo 2

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La vita, dicono, è un libro che ognuno scrive per sé stesso.

Eppure, eccomi qui, seduta su un divano a raccontarla.

Ho sempre pensato che la libertà fosse un concetto personale. Per quanto possa sembrare assurdo, la mia libertà iniziò in una piovosa mattina di inizio settembre.

Ma questo, io, ancora non lo sapevo.

Nonostante siano passati dieci anni da quel giorno, lo ricordo come se fosse ieri.

Nonostante la pioggerellina fitta e l'aria fresca me ne stavo immobile, in mezzo al cortile di ghiaia, a fissare il nuvoloso cielo scozzese.

Le minuscole goccioline d'acqua picchiettavano sulle lenti dei miei occhiali offuscandomi la vista o forse erano le lacrime che tentavo di ricacciare dentro a forza a rendere tutto meno nitido.

Sentii qualcuno accarezzarmi la mano, disegnando con delicatezza dei piccoli cerchi sul dorso.

La prima lacrima che non riuscii a trattenere fu per mio fratello Mark.

Un'altra mano, meno delicata della prima ma altrettanto affettuosa, mi scompigliò i capelli con fare scherzoso.

La seconda lacrima a solcare il mio viso fu tutta colpa di Michael, il gemello di Mark.

Abbassai lo sguardo e mi girai a cercare Matthew, mio fratello maggiore.

Iniziai a singhiozzare rumorosamente non appena mi strinse a sé e le cose andarono solo peggiorando quando gli altri due si unirono all'abbraccio.

Non so dire se passarono minuti interi o solo qualche secondo. Sicuramente per me quell'abbraccio durò troppo poco.

Ci facemmo un sacco di promesse con gli occhi lucidi e il naso gocciolante, poi ci stringemmo ancora con la consapevolezza che nessuno le avrebbe mantenute.

Dopo aver salutato per l'ennesima volta i miei fratelli presi la mia valigia, oramai fradicia, e percorsi il cortile di ghiaia.

Da sola.

Nella mia vita avevo vissuto tantissime esperienze ma non ero mai stata sola.

Arrivai alla porta d'ingresso, appoggiai una mano sulla maniglia e poi mi girai per l'ultima volta verso tutto quello che rimaneva della mia famiglia, della mia vita.

Quando mi chiusi la porta alle spalle sentii chiaramente le gomme dell'auto di mio fratello scricchiolare sui piccoli sassolini fino a cessare del tutto, in prossimità dell'asfalto.

Fu il suono più doloroso che avessi mai udito, fino ad allora.

Sbattei le palpebre e sospirai, facendo appello all'ultima goccia di coraggio che mi era rimasta.

-Salve cara, benvenuta al Saint Louis Institute. Io sono Flor. Mi servono i tuoi dati per procedere alla registrazione -

-Mi scusi, non ho capito- la mia voce rimbombò in modo esagerato lungo tutto il corridoio e io arrossii istantaneamente.

Mi guardai attorno per un paio di secondi poi la voce dolce e simpatica della receptionist attirò nuovamente la mia attenzione.

-Va tutto bene, tesoro. Mi serve il tuo nome, così ti cerco nell'elenco. -

-Megan Fray. - Dissi a voce più bassa.

La signora oltre il bancone mi sorrise con fare materno per poi far scorrere il dito corto e tozzo su un registro rosso, come un professore intento a scegliere chi interrogare. Ad un certo punto, esclamò con aria soddisfatta:

Ex Mostri- Istruzioni per l'usoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora