• Basta un solo sguardo (parte seconda)

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"Va bene, Afrodite, calmati!", continuai a ripetermi, senza sosta, nella mia testa, con la speranza che il mio cuore potesse finalmente rallentare i suoi battiti e riuscissi, in qualche modo - per grazia divina, forse - a scacciare l'ansia perenne...

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"Va bene, Afrodite, calmati!", continuai a ripetermi, senza sosta, nella mia testa, con la speranza che il mio cuore potesse finalmente rallentare i suoi battiti e riuscissi, in qualche modo - per grazia divina, forse - a scacciare l'ansia perenne che mi travolgeva ogni qualvolta avevo un sacco di occhi puntati su di me.

In fin dei conti, che sarà mai posare seminuda per un branco di ragazzi, poco più che ventenni, in un'aula dell'accademia di Belle Arti di Firenze?

"Una sciocchezza", direbbero in molti, ma per me era una vera e propria tragedia greca.

Era vero che ero la Dea della bellezza, emblema della femminilità e della seduzione, tuttavia, odiavo - e ripetevo e sottolineavo, odiavo - mettere in mostra il mio corpo nudo anche se questo accadeva regolarmente e con molta frequenza, da qualche mese a questa parte.

Da quando ero scappata, mesi prima, dal Monte Olimpo - posto inaccessibile ai comuni mortali - mi ero ritrovata completamente sola e impaurita a dover imparare a convivere con gli umani e a mescolarmi con essi per sfuggire a un destino che non avevo scelto e che non avevo voglia si compiesse.

I primi tentativi erano stati decisamente uno schifo e, alla fine, mi ero ritrovata lì, a posare seminuda per un gran numero di studenti universitari per aiutarli con le loro lezioni di arte classica.

Molti di loro credevano che sarebbero riusciti a ritrarmi in una maniera talmente tanto epica e poetica - "spettacolare", a detta loro - da poter far emergere il talento di un nuovo Botticelli mentre esibiva un suo ritratto di Venere - io. A volte, mi domandavo cosa penserebbero se dicessi loro che si trovavano dinanzi alla vera Afrodite, colei che per molti pittori, scultori e, non solo, anche poeti, era stata una vera e propria musa, fonte inesauribile di ispirazione.

Senza ombra di dubbio, alcuni mi avrebbero presa per pazza, altri, invece, coloro che ancora credevano nelle antiche tradizioni greche, avrebbero potuto avere due tipi di reazioni: la prima prevedeva che questi scappassero a gambe levate dalla sottoscritta; la seconda, al contrario, metteva in conto che la loro curiosità fosse più forte della paura e li spingesse a conoscermi, non come Urania - il nome con il quale mi ero fatta chiamare per potermi mescolare tra di loro - bensì come Afrodite o Venere, dipendeva da quale nome mi volessero affibbiare.

Io, personalmente, preferivo di gran lunga la versione originale, quella greca e non quella romana.

Era decisamente molto più affascinante.

«Bene, ragazzi» iniziò col dire il professore, girando tra i ragazzi e le loro postazioni, guardando con occhio critico ogni singola pennellata o martellata che venivano fatte dai suoi studenti.

Dietro di me - comodamente distesa su un lettino greco in pietra, reso più comodo da una serie di comodi cuscini rossi, in una posizione alquanto afrodisiaca ed accattivante che mi ricordava fin troppo quella assunta da Rose, la protagonista de Titanic - c'erano gli scultori con i loro blocchi di marmo, scolpiti per metà, che tentavano disperatamente di riprodurre il mio lato B in bella mostra e ogni singola piega di quel tessuto velato che mi "copriva" metà busto e i fianchi, lasciando intravedere cosa ci fosse sotto e lasciando scoperto il seno destro.

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