Nei giorni successivi la vita di Airi si protrasse a mo' di quella che avrebbe argutamente soprannominato come "routine soporifera". Ogni cosa facesse le risultò alquanto ordinario, uggioso. Perfino l'espressività del tempo sembrava andarle contro. Si sentiva sotto anestesia, quasi. Ciò era, senza dubbio, anche un po' dovuto al castigo imposto a lei e Minso dopo la notte passata fuori. Per cui le ragazze erano confinate in casa il più possibile. Era consentito lasciare la casa per lo stretto indispensabile.
La zia Ji Eun non si era mostrata tanto intransigente ed implacabile quanto suo marito, il signor Choi. La donna non era affatto ingenua, tutt'altro, ben intuiva le condizioni di sua figlia, eppure voleva fidarsi di quelle due ragazze; erano così giovani e libere, e poi il suo cuore le diceva che in un modo o nell'altro avrebbero saputo cosa fare, eppure non aveva fiatato quando suo marito si era dato alle ramanzine infinite, convenendo con i suoi insegnamenti seppur duri delle volte. Non le aveva né attaccate, né difese, nonostante le risultasse difficoltoso da fare. Stava tentando di essere il più comprensiva possibile.
Minso aveva mantenuto il suo punto, dichiarando e riaffermando con sicurezza e persuasione che fosse vera la giustificazione confidata alla madre, ovvero che fossero dovute restare a dormire fuori per cause di forza maggiore. Suo padre si accorse che effettivamente non fosse in possesso di prove e comunque erano tornate indietro sane, salve e sobrie. Erano tornate di mattina presto, verso le sette. Eppure questo non le privò della punizione.
Non avevano chiuso occhio, principalmente perché Minso avrebbe dovuto cominciare il turno di lì a poco ed Airi aveva appena ricevuto un'email per uno pseudo colloquio. Quelle ore che intercorsero le passarono a parlare di quei ragazzi. Airi sentì che doveva rimproverarla, ma non era stupida. Aveva capito tutto. Minso aveva perso la testa per un ragazzo, e lei, adesso, capiva bene.
Quella mattina la ragazza si sarebbe dovuta recare in un ufficio, di una piccola scuola privata. Era una sorta di dopo scuola per ragazzini delle elementari. Aveva optato per fare lezioni ed approfondimenti della lingua inglese, dato che v'era non soltanto molto affezionata, ma capace soprattuto. I primi giorni la misero oltremodo a disagio, il tragitto tra la casa e la scuola era tortura. Man mano la tensione sfumò, ma non la lasciò mai del tutto. Perché Airi era così.
Proprio adesso si stava incamminando verso il modesto edificio, non molto distante da casa Choi, per portare avanti il mese di prova. I jeans blu le fasciavano le gambe, mentre osservava il terreno camminando. La camicetta bianca l'aveva indossata per mostrarsi professionale, come aveva fatto i giorni precedenti. Stava ben presto arrivando al termine delle differenti fantasie sulle camicie, di fatti quella del giorno era molto blanda.
D'improvviso, la scena di qualche giorno prima le bussò impertinente, e con estrema prepotenza, alle porte dei pensieri e ricordi, sorpassandoli tutti, saltando qualsiasi fila immaginaria, per mettersi al primo posto. Davanti i suoi occhi si proiettò con forza nuovamente l'immagine degli occhi luminosi di Jungkook.
Si ricordò inevitabilmente di quando le avessero accompagnate con l'auto di Taehyung al parcheggio dove tutto era cominciato, perché potessero rientrare con l'auto di Minso. Le avevano scortate fino alla macchina, ma prima che Minso avesse occasione d'ingranare la marcia e partire, Airi abbassò con frenesia il suo finestrino. Jungkook ormai le dava le spalle, voltatosi per ritornare dai suoi amici. La schiena muscolosa era irrigidita.
«Ehi, ma come si fa con i tuoi vestiti?» gli urlò, aggrappandosi con entrambe le mani alle file di gomma dello sportello, da dove si alzava ed abbassava il finestrino. Le strinse con forza e nemmeno riusciva a capacitarsi del motivo. Le unghie di una lunghezza ordinaria si piegarono leggermente a causa della pressione. Gli occhi le correvano scaltri, vigili, da un particolare all'altro del ragazzo.
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『ʍαƙҽ ɱҽ ɾυɳ ;; ʝʝƙ 』
Fanfictionestratto: "Eppure non dava mai pace ai suoi tormenti. Per una ragione o per l'altra, lasciava che quei desideri accesi la infuocassero da capo a piedi, lasciava che le labbra si arricciassero dal desiderio, senza mai tuttavia assecondarlo del tutto...