6. Veneto

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Addio a Venezia

È fosco l'aere, il cielo è muto,

ed io sul tacito veron seduto,

in solitaria malinconia

ti guardo e lagrimo,

Venezia mia!

Fra i rotti nugoli dell'occidente

il raggio perdesi del sol morente,

e mesto sibila per l'aria bruna

l'ultimo gemito della laguna.

Passa una gondola della città.

"Ehi, dalla gondola, qual novità?"

"Il morbo infuria, il pan ci manca,

sul ponte sventola bandiera bianca!"

No, no, non splendere su tanti guai,

sole d'Italia, non splender mai;

e sulla veneta spenta fortuna

si eterni il gemito della laguna.

Venezia! l'ultima ora è venuta;

illustre martire, tu sei perduta...

Il morbo infuria, il pan ti manca,

sul ponte sventola bandiera bianca!

Ma non le ignivome palle roventi,

né i mille fulmini su te stridenti,

troncaro ai liberi tuoi dì lo stame...

Viva Venezia!

Muore di fame!

Sulle tue pagine scolpisci, o Storia,

l'altrui nequizie e la sua gloria,

e grida ai posteri tre volte infame

chi vuol Venezia morta di fame!

Viva Venezia!

L'ira nemica la sua risuscita

virtude antica;

ma il morbo infuria, ma il pan le manca...

Sul ponte sventola bandiera bianca!

Ed ora infrangasi qui sulla pietra,

finché è ancor libera,

questa mia cetra.

A te, Venezia,

l'ultimo canto,

l'ultimo bacio,

l'ultimo pianto!

Ramingo ed esule in suol straniero,

vivrai, Venezia, nel mio pensiero;

vivrai nel tempio qui del mio core,

come l'imagine del primo amore.

Ma il vento sibila,

ma l'onda è scura,

ma tutta in tenebre

è la natura:

le corde stridono,

la voce manca...

[Arnaldi Fusitano, 1848]

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