Rollercoaster 2

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Era da molto tempo che Lenora non riceveva una dichiarazione simile. Aveva vagato, con la veste dagli orli svolazzanti e il corpo evanescente, per ogni stanza della sua dimora, fino a conoscerne ogni angolo, ogni curva e buco, ogni macchia di muffa e granello di polvere.
Si era sentita molto sola, Lenora. Aveva spaventato qualche anno fa degli sciocchi ladri che parlavano di ristrutturazione e mostravano la sua casa come fosse loro; ma non quei due giovani.
Lui aveva un portamento goffo ma uno sguardo gentile. E con quanta dolcezza l'aveva guardata, mentre diceva sono innamorato di te...
Avrebbe voluto sentirsi stringere in un abbraccio che le avrebbe scaldato l'anima.
Non lo conosceva ancora, ma aveva percepito la muta sincerità dei suoi occhi, rimanendone incantata, e ci avrebbe scommesso, l'avrebbe fatta risentire viva. 

***

Nonostante avesse dormito, Isaac si era svegliato irrequieto. La pelle nell'incavo del gomito sinistro gli pizzicava e a tratti, se ci posava sopra le dita, bruciava.

Era andato a cercare Martha, fingendo di non essere agitato con chiunque incontrasse, finché era riuscito finalmente a trovarla, giù al fiume, al riparo dell'ombra di un salice. 

Isaac percorse gli ultimi metri in tutta fretta, sfilando il braccio sinistro dalla manica della felpa.

«Se è un tuo scherzo per ieri...» stava dicendo ad alta voce, ma si bloccò di colpo. Martha stava piangendo. «Che hai?»

«È questo diario, è così commovente» rispose senza guardarlo, asciugandosi gli occhi umidi con la manica della camicia. Accoccolato sulle cosce aveva un piccolo libro chiuso dalla copertina consumata. 

Isaac si sedette al suo fianco sull'erba morbida. Le loro spalle si sfioravano. Avrebbe voluto consolarla ma vicino a lei si sentiva così impacciato. Fissò l'acqua placida, poco più in là, alla ricerca delle parole giuste, soltanto per capire che non esistevano, e ogni volta che provava ad afferrane una, quella gli scivolava sulla lingua, intimidita e silenziosa. 

«Era della donna di cui mi hai parlato, Lenora Gavedart» ruppe lei il silenzio, accarezzando la copertina rossa.

Isaac la fissò sconcertato.
«Sei tornata laggiù?»

«Stamattina presto, lo avevo già adocchiato ieri» spiegò, restituendogli quello sguardo sorpreso: «Ho chiesto il permesso prima di penderlo»

«Io stamattina mi sono svegliato con questo». 

Sembrò ricordarsi solo in quel momento il motivo che tanto lo aveva spaventato quel mattino. Le mostrò il braccio. Uno seghettato sprazzo di sole, tra le ombre dei rami, illuminò due piccole lettere rossastre sulla sua pelle lattea. Due iniziali: L.G.

«L.G. Lenora Gavedart» mormorò Martha sorpresa, e le sue dita seguirono il contorno della ferita nella carne del gomito: «Sembra inciso con un ago, ti fa male?»

«Un po'» rispose, ipnotizzato dalle dita di lei sul suo braccio. Fece un lungo respiro, provando a calmarsi: «Quindi non sei stata tu?». 

Lei scosse la testa e gli mostrò un sorriso tirato sotto uno sguardo preoccupato. «Avrei dovuto addormentarti col cloroformio per non svegliarti, credo».

«Merda» sibilò di scatto, innervosito, facendole ritrarre la mano.
«Mi sono svegliato con questo marchio e il bello è che non mi sono accorto di nulla»

«Forse hai fatto qualcosa ieri, forse hai infastidito il suo spirito senza volerlo. Non hai notato proprio niente di strano mentre dormivi?»

Isaac alzò gli occhi al cielo, posando la nuca contro il tronco dell'albero. Ripensò alla nottata che aveva trascorso. «Mi...» cominciò titubante, sentiva le guance scaldarsi al solo ricordo. «M-mi ricordo che mi sentivo tirare per l'elastico delle mutande, o almeno così mi sembrava» terminò d'un fiato.

Martha aprì il diario, pensierosa quanto lui. «Sono certa che sia morta» girò piano le delicate pagine fino a raggiungere quella che desiderava e indicò l'angolo in alto a destra. «Vedi? Si interrompe bruscamente il primo maggio del 1979. E poi ci sono delle note scritte in francese in una calligrafia diversa»

«E cosa dicono?»

«Un certo Horace si scusa per quella volta in cui la portò a fare l'amore nel capanno degli attrezzi. Dice che avrebbe dovuto controllare della presenza di una specie di alveare e per questo si sente in colpa».

Alveari, capanni, spiriti arrabbiati. Per Isaac era tutto così strano, così inquietante e irreale. Lui non aveva mai creduto ai fantasmi. Eppure se non era stata Martha a fargli quei segni non riusciva a darsi un'altra spiegazione: in quella stanza non erano stati soli e una signora fantasma aveva ascoltato il suo segreto.

«Quindi lei è morta per aver fatto sesso con un alveare?» domandò sempre più irrequieto.

«No, scemo». Martha chiuse il diario con un tonfo e lo utilizzò per colpirgli la spalla.
«C'era un nido di vespe e sono stati punti, lei era allergica ed è morta» ipotizzò.

«Ma quindi cosa vuole da me?»

«Non saprei» gli rispose. Si chinò sul suo orecchio e sussurrò: «Hai detto che ti tirava le mutande? Magari vuole il loro contenuto»

«È... È... Possibile?» balbettò inorridito. 

«Non lo so, Isaac, ma troveremo una soluzione» gli posò una mano sulla spalla, provando a rassicurarlo. Aveva paura anche lei, ma non voleva lasciarlo solo. «Dobbiamo chiederle di lasciarti in pace. Potremmo cercarla al cimitero. Magari l'hanno seppellita con il cognome del padre, Parrybottom. Non andava d'accordo con il padre». 

Quell'idea non lo allettava per niente. 

«Non possiamo semplicemente tornare a casa sua?»

«Con la tomba funzionerebbe meglio» gli spiegò Martha: «E potremmo provare a fare un rituale per scacciarla».

Isaac si prese la testa tra le mani. Era stato tutto un malinteso, ed era colpa sua. Aveva voluto dimostrare a Martha di essere coraggioso come i suoi personaggi e adesso era nei guai. «Non saremmo dovuti andare in quella casa» mugugnò.

«Ormai è inutile pensarci».

Lenora era nascosta dietro il tronco del salice. Era così felice che le sembrava di sentire le rughe della corteccia sotto le mani scheletriche. Le era piaciuto seguire il suo nuovo spasimante in quella passeggiata mattutina; anche Horace la passava a prendere, dopo colazione, per lunghe cavalcate nelle campagne assolate. Ma in un attimo la sua felicità era svanita come fumo. Che cosa aveva detto la strega che aveva trafugato il suo prezioso diario? Volevano scacciarla? Voleva portarle via il suo innamorato? E come si permetteva di nominare il suo Horace? Era gelosa, invidiosa, infuriata.

«Accanto al diario ho trovato questo». Martha provò a cambiare discorso e tirò fuori un rossetto dal taschino del giubbino di jeans su cui si era seduta. «È molto strano, perché guarda cosa ha dentro». Svitò il tappo dell'involucro che, invece della punta colorata, al suo interno conteneva dei peli chiari intrecciati l'uno con l'altro.

Lo passò ad Isaac che lo esaminò. «Già, ma era strano anche il nido... Non ne parla nel diario?». 

«No ed è tutta la mattina che me lo rileggo».

Martha posò la testa sulla spalla di un Isaac troppo scosso perfino per arrossire. 

«Credo di aver appena sentito uno spiffero freddo» disse lui, irrigidendosi. Lo aveva sentito davvero, proprio dietro al collo.

«Suggestione» lo rassicurò: «E poi tu sei sempre freddoloso».

Isaac prese un sassolino accanto alle sue scarpe e lo tirò nell'acqua, rompendone e agitando la superficie. Rabbrividì preoccupato. 

«Dai, guardami». Martha alzò la testa e gli posò le mani sulle guance, attirando il suo sguardo.
«Ti assicuro che i fantasmi agiscono solo col favore delle tenebre» disse seria. 

Non sapeva quanto si stava sbagliando.

Uova di merloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora