CAPITOLO III

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Il ricordo di ciò che avvenne dopo sarebbe rimasto appannato, confuso. Era piombato in quello che sembrava un sogno, o, per meglio dire, un incubo.
Era in un lungo corridoio buio, dal cui fondo tremolava una flebile luce.
Era quasi impossibilitato a muoversi, faceva dei passi lenti e goffi e si sentiva incredibilmente stanco.
Si accorse con terrore che le pareti laterali si avvicinavano, restringendo lo spazio in cui si trovava.
Fu colto dall'ansia e dalla paura di non poter più ritornare a casa.
C'era un silenzio innaturale: era un ambiente così silenzioso che persino il battito frenetico del suo cuore risuonava come una campana impazzita.
Istintivamente corse più veloce che poteva verso quella debole luce, che diventava sempre più forte man mano che procedeva.
Quando le mura stavano ormai per schiacciarlo, accettò il suo destino e in preda alla disperazione si accasciò a terra.
Ma ora... era la luce a venirgli incontro.
Carmine si svegliò nel sottobosco senza neanche sapere come.
Ricordava il suo incubo, il lampo di luce. Ricordava di aver chiuso gli occhi.
Forse, era tutto un sogno... in fondo, il bosco dove si trovava era simile a quello di Castel del Monte... Dopo pochi minuti, però, giunse alla conclusione che quello non era un sogno: se lo fosse stato, ora sarebbe stato ben sveglio dopo quei momenti di terrore e, nel momento in cui avrebbe pensato a Castel del Monte, questo sarebbe apparso.
Allora come spiegare il tutto? Non sentiva neanche il chiasso dei suoi compagni e, come se non bastasse, aveva lasciato il cellulare nello zaino di Mario.
Non poteva chiamare nessuno e temeva, muovendosi, di perdere completamente l'orientamento.
Però il sole era alto e gli dava un po' di fiducia. Decise di stare lì, fermo ad aspettare: la cosa che l'aveva fatto arrivare, l'avrebbe anche riportato indietro.
Passò un po' di tempo.
Ne passò ancora e il Sole che s'infiltrava tra le foglie degli alberi cominciò a ritirare i suoi raggi e il cielo ad assumere un colore rossastro.
Carmine, in questo tempo, aveva pensato all'accaduto, cercando di spiegare, trovare un nesso fra il tutto, ma non ci riusciva.
Quando si rese conto del cambiamento che aveva subito la luce che, fino a poco prima, lo aveva rassicurato, cominciò a spaventarsi: era in un bosco, solo e stava facendo buio.
Starsene ancora lì fermo, non era un'ipotesi da considerare ... in fondo, per quanto tempo era stato lì e non era successo niente? Non ne valeva la pena.
Così, si alzò e, scegliendo una direzione a caso, nella speranza di raggiungere un territorio abitato, s'incamminò nella boscaglia, che diventava man mano sempre più fitta.
Era appena sorta la luna quando si ritrovò in un villaggio che sembrava uscito da un libro di fiabe.
Gli abitanti di quello strano posto gli vennero incontro.
Erano vestiti di pelle e tela e avevano le orecchie a punta...che fossero elfi?
A quel punto, Carmine concluse che quello non era il suo mondo.
Era in un'altra dimensione.
Gli elfi sembravano amichevoli e il ragazzo li osservava stupefatto, con un miscuglio di emozioni contrastanti che gli appannavano la mente.
Aveva paura di questa realtà a lui sconosciuta: sarebbe riuscito a comunicare con le strane creature dall'aspetto surreale e primitivo? Erano davvero amichevoli quanto sembravano? Sarebbe riuscito a tornare indietro? In caso di pericolo, aveva un posto in cui rifugiarsi?
D'altro canto però era curioso di conoscere questa strana razza e il luogo da cui proveniva, e voleva capire se fosse precipitato realmente in un mondo parallelo.
Per qualche secondo era stato il terrore a prevalere e fu tentato di scappare a gambe levate più lontano che poteva, sperando che gli elfi non fossero veloci e in grado di volare tramite qualche strana magia; riuscì però a ragionare, e decise di camminare cautamente incontro a quelle creature, che si erano fermate ad un certo punto, in fila orizzontale, come se ci fosse una sottile ed invisibile barriera che impedisse a chiunque di passare.
Quando arrivò di fronte a loro, l'elfo che sembrava più anziano fece uno strano gesto con la mano, mentre pronunciava parole che Carmine non riusciva a cogliere.
Condussero Carmine in una capanna di legno, col tetto di foglie intrecciate; dentro c'era una stuoia di paglia sul pavimento di terra e, accanto, un piccolo tavolo con del cibo e una caraffa di acqua. Il ragazzo si rifocillò e piombò poco dopo in un sonno pesante.

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