Capitolo 8

4 0 0
                                    

Una settimana è passata.
Mio padre continuava a chiamarmi. Disperatamente. Ma perché chiamarmi e distruggermi la mente? Cosa voleva da me?
Sorseggiavo un caffe quando Tommaso mi chiamò.
"Stelle, buongiorno!"
"Buongiorno a te"
"Che è successo? Che voce che hai!"
"È successo come avevi previsto! Ora chissà a chi tocca uscire di casa."
"Ma davvero? Accidenti, io lo dicevo giusto per dire, ma ahimé è accaduto."
"Già, sembrava come un po' premeditato."
"Sicuramente. Ma tranquilla, ti tiro io su il morale. Finalmente una buona notizia. Ho un lavoro!"
"Wow fantastico. Sono contenta! Allora raccontami tutto."
" No assolutamente. Prima devo vederti e poi raccontarti tutto."
"Ecco perché non mi hai chiamata per una settimana. Ero sinceramente un po' preoccupata ma qui la situazione era più tragica del previsto. Lei non c'è mai, e tutta la casa è accollata a me."
"Dai tranquilla. Sai bene che a Taranto il telefono non prende bene, comunque scendi che sto arrivando."
"Ma io non sono ancora pronta!"
"Sei bella anche in pigiama."
Trovava sempre il punto per farmi stare bene.
Una coda, un pantaloncino, una maglietta e giu per le scale. Mi mancava tanto, il suo abbraccio era caldo e protettivo. Tutto ciò di cui avevo bisogno. Lui. Mi raccontò del viaggio, del datore di lavoro. Della sua settimana. Lui aveva un posto di lavoro fisso con vitto e alloggio compreso. Sarebbe stato a dire che si sarebbe trasferito.
"Quindi andrai via da me."
"Dai non fare così, bisogna fare un po' di sacrifici per avere il meglio per noi."
"Ma adesso non ce la faccio a perdere anche te. Ho bisogno di te. Non posso andare avanti se anche te hai preferito perdermi piuttosto che starmi vicino."
"Non è un gioco Stella!"
Le lacrime,maledette lacrime. Rovinano tutto. Per un momento la ragazza forte e determinata che era in me stava scomparendo. Lui continuava a parlare ma io ho preferito interromperlo..
"Sai hai ragione. Vai. Poi quando posso ti raggiungo."
"Davvero?"
"Si. Pensi che ho altra scelta, oltre a quella di lasciarti andare?"
"Beh non è una scelta. Chissà un giorno potremmo vivere lì. A Taranto. Insieme."
"Si ovvio!"
Era ora di andare..dovevo uscire da quella situazione così drastica.
"Ok, ora si è fatto tardi. Portami a casa che devo preparare il pranzo."
"Va bene".
Lo sportello della macchina si chiuse e con esso tutto il mio dolore che provavo. Forse un'accumulo.
Quando ormai ero a casa, pensai a tutto ciò che la mente poteva evitare: distruzione interiore, fisica, della famiglia. Ma cercai di non pensarci. Presi la padella e iniziai a fare quello che in fin dei conti ormai facevo da giorni: cucina per la famiglia, come se fosse un mio dovere.
Mi accesi una sigaretta e vedevo il fumo che andava su e spariva, ecco come mi sentivo, trasparente quasi inesistente. Questo "pensiero" venne da interrotto da uno sbattere di uno sportello, e poi un altro ancora, e sentivo ridere, ridere e ancora ridere.
Non mi affacciai perché quelle risate le conoscevo e più si avvicinavano alla porta e sempre più diventavano inquietanti. Era lei. Eva! Ma dato che erano insieme era diventato un LORO. La conoscevo mia madre non avrebbe mai ammesso ne alla sua famiglia e ne tanto meno a se stessa che era con lei. Sapeva nasconderlo. E anche molto bene.
"Buongiorno Stella. Come va oggi? Il pranzo è pronto?" Mi disse Eva con sarcasmo ma io la odiavo, sempre più.
"Certo che è pronto. Non posso certo morire di fame!" Le risposi.
Mia madre era lì che ci fissava, Eva la guardò e le disse "Caterina, insomma non le dice nulla! Senti come risponde! Bisogna mettere un paio di regole, e visto che ci sei giù in macchina ci sono i bagagli, vai a prenderli. Poverina tua madre, dopo una separazione ha bisogno di compagnia!" Avevo le lacrime agli occhi per le tante cattiverie gratuite che uscivano dalla sua bocca piena di veleno. Guardai mia madre, e le dissi "ah è così? Quindi la mia compagnia qui non è gradita a nessuno. Nessuno qui che mi chiede almeno per favore o un semplice grazie!" Eva mi guardò ridendo e disse "Ma quanti anni hai? Tua sorella è molto più matura di lei. Anzi avrebbe già fatto quello che le avevo chiesto."
"È questo il punto. Io non sono lei. Non sono una che si fa comandare da una sanguisuga. Sai che penso, penso che non ce la faccio più, la mia vita è rovinata da quando ci sei te. Ti odio. E tu..." guardando mia madre "...tu, sei sempre stata una pessima madre, spero che con quel cibo che ormai preparo da giorno ti ci affoghi, anzi vi affogate." Lei rimasero impiedrite. Presi le mie cose, mi presi le chiavi della macchina e me ne andai.
Ma la cosa più brutta è che lei, quella che mi ha messo al mondo, non si è degnata di fermarmi.

IL PARASSITA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora