Dopo aver fatto 15 km torno a casa. Sono le 10 di sera, ho ancora tempo per rilassarmi e godermi l'ultima notte prima di iniziare la mia nuova vita. Mi faccio una doccia calda e nel mentre canto le mie canzoni preferite approfittando dell'acustica stupenda.

Appena finito avvolgo il mio corpo con un asciugamano e torno in camera per indossare dei pantaloncini della tuta ed un top comodo per dormire. Successivamente asciugo velocemente i capelli e porto la mia attenzione allo specchio. Rimango a fissarmi per qualche infinito minuto alla ricerca di qualcosa che non so di star cercando. All'improvviso scoppio a piangere.

È così straziante sapere che le persone mi vedono nell'esatto modo in cui mi vedo io; vorrei essere sempre felice e spensierata quando in realtà la tristezza ormai fa parte di me. Vorrei non portare una maschera davanti agli altri, vorrei star veramente bene. Ogni momento bello è rovinato da me che penso che per ogni gioia ci saranno due catastrofi. Vorrei vedere qualcosa di diverso e non sempre la versione peggiore di me; non riconosco più il mio volto riflesso nello specchio. Ogni dettaglio del mio viso sembra nuovo, come se fosse la prima volta che lo vedessi. Mi chiedo quando sono cambiata, da quanto non mi riconosco più, pur sapendo già la risposta. Prima o poi tornerò a riconoscermi.

Dopo poco mi dico che non ho voglia di piangere l'ultima notte che sono in questa casa. Mi costringo ad asciugarmi le lacrime e a cercare su internet video di cuccioli per sentirmi meglio; una volta completata l'operazione mi dirigo alla finestra e mi siedo sul piccolo divanetto che vi è sotto, mentre penso a tutto ciò che c'è e ci sarà di positivo in questa nuova esperienza. Sono emozionata al massimo ma anche leggermente spaventata, ma in ogni caso non vedo l'ora di iniziarla.
•••
- Papà starò bene, tranquillo - lo rassicuro dandogli un abbraccio affettuoso e rivolgendogli il mio più caldo sorriso.
- La mia bambina è cresciuta - sorride a sua volta.
- Vienimi a trovare quando vuoi, io farò lo stesso ogni volta che potrò e ti chiamerò ogni giorno. Promesso. - gli do un bacio e salgo sul taxi che mi porterà alla stazione del treno.

Mio padre era disposto ad accompagnarmi fin lì ma ho preferito di no, so quanto è indaffarato con il lavoro e non voglio che perda tempo a causa mia. Raggiunta la stazione mi accorgo che sono in super ritardo e che il treno partirà a momenti. Mi sbrigo a timbrare il biglietto ringraziando il cielo della fila inesistente. Aspetto l'ascensore con ansia mentre prego che il treno al mio arrivo sia ancora lì; avrei potuto fare le scale, ma con due valige pesantissime c'avrei messo una vita e questa era l'opzione migliore.

Una volta arrivata al piano giusto corro il più che posso, per quanto mi è possibile. Dopo poco mi arresto di colpo, respirando a bocca aperta nel tentativo di annaspare più ossigeno possibile, alzando e abbassando le spalle e chinandomi sulle ginocchia, ancora tremanti di adrenalina, mentre fisso sconvolta i binari vuoti del treno.

L'ho perso, cribbio. Rassegnandomi all'idea di dover aspettare 45 minuti per il prossimo, vado a sedermi su di una panca. Frugo nelle tasche degli shorts alla ricerca delle cuffie. Niente. Non c'è niente. Mi maledico mentalmente per aver dimenticato di prendere una cosa così importante. Ad un certo punto mi accorgo di una ragazza che siede accanto a me a distanza debita. Ha i capelli castani legati in uno chignon, così scompigliato da assomigliare ad un fiore appassito, sfiorito, rovinato, con le ciocche ribelli che le ricadono in avanti, nascondendole parzialmente il volto incorniciato dalle sue mani pallide. Indossa una felpa, molto più grande della sua taglia, nonostante i 25 gradi, che lascia intravedere le sue clavicole sottili in rilievo.

Non riesco a intravederle il volto a causa della sua postura, sembra quasi che abbia paura di mostrarsi a me, al mondo. Preoccupata dal tremore della sua gamba e dalle nocche rosse cerco di passare oltre l'imbarazzo iniziando una conversazione.
- Ehi... - le dico tremando e cercando di non far uscire le seguenti parole come un sussurro che si perde nel vuoto - È tutto okay? Stai bene? - continuo con i toni gentili, cercando di farle capire che voglio solo aiutarla.
Dopo ciò si volta lentamente: le sue labbra sottili sono ricamate di crepe e crosticine e dato che non fa freddo penso sia a causa dei morsi.

Il suo volto è scavato e macchiato di lividi scuri, mentre il suo sguardo è duro. È ovvio che non sta affatto bene. Vorrei tanto poterla aiutare in qualche modo, quindi decido di continuare a parlarle.
- É che... sai, stavi guardando il pavimento, e ho pensato che magari avevi perso qualcosa e beh... se hai bisogno di una mano, sarei felice di aiutarti - spero abbia capito cosa intendo.
- Ciò che ho perso, non lo ritroverò mai più - la sua voce è molto profonda, fredda e piena di... dolore. Un dolore così vivo, così pungente, da aver reso ogni sua parola tagliente, sferzante. Come uno schiaffo. Come un pizzicotto. Qualcosa che se ti tocca, ti lascia un segno.
- Scusami, non volevo essere invadente... cercavo solo di rendermi utile, non immaginavo che... beh... perdonami - mi giustifico, con le guance rosse per la vergogna.

- Non capisco. - mi risponde, dopo un interminabile minuto. - Non mi conosci. Non hai idea di chi io sia, ma volevi comunque aiutarmi... per quale motivo? Io non capisco - il suo sguardo diventa sempre più caldo su di me.
- Se dovessimo limitarci ad aiutare solo le persone che conosciamo, non credi che il mondo sarebbe davvero un posto molto triste?- - Ma il mondo è un posto molto triste. Il mondo fa maledettamente schifo! Perché nessuno lo capisce?- la sua voce è come un palloncino che si gonfia sempre di più, un palloncino che ha incanalato più aria possibile e che sta per scoppiare. All'improvviso mi rendo conto che voglio realmente e disperatamente aiutarla.
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