Una volta salita sul treno mi reco al mio posto accanto al finestrino e dallo zaino tiro fuori un piccolo quaderno, una specie di diario personale, per appuntare ciò che è appena successo. Mentre scrivo penso al mini discorso che le ho fatto, che a quanto pare le ha cambiato in meglio, almeno un po' , la giornata.

Le parole sono la cosa più potente che abbiamo: possono ferire, possono allontanare, possono avvicinare. Esse possono essere un dono che facciamo agli altri o un'arma che usiamo per ferire, come un mezzo che usiamo per allontanarci. Non pretendo di ricevere parole dolci o gentili, so che non posso averle da tutti. È normale non piacere a qualcuno, siamo imperfetti e sbagliamo quindi prima o poi calpestiamo i piedi a qualcuno che ci metterà sulla sua lista nera. Ma accidenti, non bisognerebbe mai dare per scontato il potere delle parole. Se si pensa di averne dette troppe, allora vuol dire che se ne deve dire almeno un'ultima per chiudere il tutto, questo soprattutto quando la persona con cui si sta parlando è qualcuno con cui si ha un rapporto.

Non dico tutto a tutti, non mi metto a parlare di cose importanti per me con una persona a caso. Ci sono cose che ho detto davvero a poche persone, persone che posso contare sulla punta delle dita. Ci sono cose che avrei dovuto dire, altre che avrei dovuto dire più spesso, altre ancora non dovevano uscire dalla mia bocca. Probabilmente ho ferito molte persone con le mie parole, la maggior parte senza rendermene conto e sicuramente molte persone hanno ferito me. Ma l'importante da entrambi i lati è ricevere quell'unica parola con un significato tanto potente da riunire tutto: scusa. Altre volte una sola parola non basta, ci vuole un discorso, bisogna parlarne. Solo gli esseri umani discutono e ragionano, è quello che li contraddistingue dalle scimmie. Il pensiero... Parlare di cose con altri è sintomo di fiducia, di apprezzamento.

Questo succede quando scrivo, parto da un argomento e mi dilungo sempre di più cercando e trovando appigli che reggano.
Trascorro il mio viaggio pensando, facendo mini sonnellini ed osservando le persone. Per esempio c'è un ragazzo salito sul treno da poco; si accomoda e apre un libro di diritto penale, completamente sottolineato ed evidenziato: è tutto importante, nella giurisprudenza ogni particolare non è trascurabile. Ha le unghie che sembrano mordicchiate, dall'ansia presumo. Si distrae continuamente, prima il cellulare, poi i discorsi sul treno, la gente che sale e quella che scende.

Legge e nel frattempo mastica una gomma facendo molto rumore, mentre con una mano fa roteare la matita bicolore nel solco del libro. Accanto a lui è seduta una ragazza, che cerca di stringergli la mano che gli trema per tranquillizzarlo, probabilmente per il timore di dare l'esame. Lui è davvero nervoso, ma penso non sia per qualcosa che gli è accaduto, ma più nervoso di vuoti incolmabili e mobilità impossibili.

Penso che magari è anche bravo in giurisprudenza, avrà una memoria eccezionale, tutto sotto controllo, eppure non ci credo più quando per la terza volta incomincia il soliloquio a bassa voce, cercando la sua attenzione. Dall'altro lato del vagone, posti in una visuale accessibile dal mio posto, noto due ragazzi, uno con gli auricolari ed uno senza. Probabilmente il primo dovrà avere il volume al massimo dato che il secondo prova a parlargli con una vocina flebile non ricevendo risposta. Continua a parlargli e lui non da segno di reazione, il minimo accenno. Che tristezza. Penso che quando una persona è in compagnia sia triste ignorare chi le sta intorno, inoltre è scortese.

Anche per questo il viaggio ho deciso di affrontarlo da sola.
Ci sono giorni in cui mi sento incatenata, ingabbiata e con la sola voglia di scappare via da tutto e da tutti per stare da sola con me stessa, dove non mi conosce nessuno e nessuno mi viene a parlare.
Scelgo di viaggiare in treno proprio per questo. Perché il viaggio, più di ogni cosa, isola nel suo limbo tra partenza e destinazione, che sono punti fissi e di contatto con la realtà da cui fuggo. E più il viaggio è lungo, più la sensazione si fa forte.

E ne ho bisogno, come una drogata di solitudine, di noia anche, di sentirmi e di rimuginare, perché la mia natura è questa, lontano da schemi sociali che abbraccio ma che dopo un po' mi vanno stretti.
Ci sarà sempre una parte di me distaccata da tutto, alla ricerca di un angolo dove può stare da sola e in silenzio, perché la libertà a cui aspiro non è la possibilità di fare qualsiasi cosa, ma quella di poter non far niente, senza ansie e responsabilità. Una fuga continua dalle catene, dalle gabbie che mi circondano e da cui alle volte non si riesce mai a scappare.

Una volta terminati i miei infiniti discorsi mentali mi accorgo, dato l'avviso riportato su di uno schermo, di essere arrivata a destinazione. Piena di adrenalina e voglia di fare, raccolgo le mie valige e mi dirigo verso l'uscita. Una volta arrivata al punto desiderato decido di chiamare un taxi, anche perché altrimenti non saprei come arrivare al campus.
Quest'ultimo dista solo 15 minuti dalla stazione  e per tutta la durata del tragitto sento il mio corpo che si infiamma al solo pensiero di poter vivere il mio sogno, finalmente.

Una volta arrivata ammiro con stupore la sede del campus costituita da un parco infinito, pieno di verde, alberi e prati dappertutto: un paradiso. Vi sono diversi edifici costruiti con mattoni rossi e aventi grandi finestre che portano luminosità negli appartamenti. Non vedo l'ora di scoprire gli interni di quest'ultimi.
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Ciao a tutti! Lasciate una stellina e un commento se vi fa piacere, mi renderebbe contenta conoscere il vostro giudizio. Al prossimo capitolo! 🌻

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