Il ragazzo che sognava di viaggiare nello spazio

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Su una parete del bagno dei maschi c'era scritto "alla trans non piace il cazzo"

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Su una parete del bagno dei maschi c'era scritto "alla trans non piace il cazzo". "A quella trans di Julian non piace nemmeno la figa". "Elena D. della 3E si crede un maschio, e non le piace la figa". "Elena D. è una malata mentale".

Era difficile tirare un sospiro quando la puzza di urina ti devastava le narici. In quel momento, con i pantaloni calati e le gambe divaricate e il sedere all'aria perché con le cosce non toccasse la tavoletta sporca, gli venne in mente sua madre.

Se lei avesse letto quelle frasi sarebbe scoppiata in lacrime. Ebbe pena per lei, quasi le offese fossero sul suo conto, e non sul proprio.

Ogni volta che entrava nel bagno dei maschi due erano i pensieri che gli balzavano per la testa: uno, se ci fosse qualche scritta nuova che non conosceva; due, perché i bidelli o i suoi compagni che utilizzavano i bagni, o qualsiasi altro ragazzo della scuola, perché nessuno si era mai preso la briga di cancellarle. Sua madre, sua madre sì che le avrebbe cancellate dalla prima all'ultima. Ci avrebbe messo pochi minuti, tanto ne sarebbe stata disperata. Nemmeno lui, dopotutto, si era mai preso la briga di cancellarle quando aveva notato che, togliendo le prime frasi spuntate come funghi qui e lì, ne rispuntavano delle altre, nuove frasi, sempre più cattive e offensive. Nel bagno delle femmine, come diceva l'insegnante di italiano, non avrebbe avuto questi problemi. C'era stato, nel bagno delle femmine, ma non voleva andare lì. Non era tanto sciocco da non sapere che un cesso è solo un cesso, ma in quella scuola dove "il cesso in cui vai" fa la differenza, lui aveva scelto di far parte di quella differenza e si era schierato da una parte: la sua.

Le ragazze del bagno delle femmine lo fissavano come se fosse un alieno o, peggio ancora, una ragazza mascolina a cui piace la figa. I ragazzi del bagno dei maschi, invece, lo accoglievano con risolini e sussurri di sottecchi.

"Oh, Julian", ripetevano il suo nome come se fosse divertentissimo. "Julian, stai andando in bagno?"

E ridevano, ridevano sempre. Non c'era nulla di comico nel fatto che lui stesse andando in bagno, e il suo nome non era una barzelletta. Solo una volta aveva provato ad andarci mentre c'erano altri ragazzi a sostare poggiati ai lavandini. Gli sembrava che tutti lo stessero aspettando. S'era chiuso dentro, aveva atteso che se ne andassero, ma loro erano rimasti impalati lì. Il suo nome correva di bocca in bocca, e qualcuno precisava: "Elena, si chiama Elena. Ha la figa". Quel giorno c'erano anche dei suoi compagni di classe. Quando l'avevano visto entrare, Julian ebbe come l'impressione che loro volessero spingerlo fuori, non per impedirgli di pisciare, ma per starsene lontano da ciò che l'avrebbe atteso.

Lui era entrato comunque.

A casa si era allenato un bel po' per pisciare in piedi, ma la cosa non gli riusciva. Sua madre, che l'aveva notato dall'ombra che traspariva dai vetri del cesso, aveva richiesto un momento per parlare e in quelli che erano stati poco più che dieci minuti, lei gli aveva detto di aver trovato un aggeggio per fare la pipì rimanendo in piedi, che potevano comprarlo, se volevano.

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