Capitolo sette.

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La sua prima uscita con Ben faceva parte di un passato lontano, ma lui la ricordava come se fosse trascorsa solo qualche ora. Era avvenuta una settimana dopo quell'incontro alla facoltà.
Aveva preso in mano il cappuccino che Harry gli aveva offerto, ringraziandolo con un sorriso, e si era appoggiato nuovamente alla parete, con aria rilassata e sbarazzina. Avevano scambiato qualche parola, niente di personale. Giusto qualche commento di circostanza sulla lezione appena tenuta. Ma ogni frase era accompagnata da un certo imbarazzo, più da parte di Harry, a dire il vero, che di Ben. Stava in piedi davanti a lui, un po' impacciato e con entrambe le meni nelle tasche di jeans. Sembrava spaventato dalle sue stesse emozioni. Teso. Forse non riusciva a capacitarsi del perché quel giovane studente gli piacesse cosi tanto, e del perché non riuscisse a essere sciolto e spontaneo come sempre. Si sentiva decisamente inibito. Non voleva correre il rischio di dire qualche cazzata e rovinare tutto. 

Arrivata l'ora di rientrare in classe si era reso conto che dopo quel caffè non lo avrebbe più rivisto, che le loro strade non si sarebbero più incrociate. Anche se non era sua abitudine, sentiva di dover fare qualcosa. Dopo aver recuperato lucidità, aveva deciso che preferiva incappare in una figuraccia piuttosto che rimanere a guardare i loro destini imboccare sentieri opposti. Non riusciva a capire bene il perché, né tantomeno riusciva a darsi una spiegazione razionale. Gli erano bastati quei pochi minuti di fronte a quella macchinetta per rendersi conto che se non avesse fatto qualcosa, l'avrebbe rimpianto per molto tempo. 
Harry aveva raccolto il fiato, approfittando del fatto che il ragazzo, impegnato a bere la sua bevanda, non lo stava guardando negli occhi. 

"Senti Ben, lo so che ti sembrerò sfacciato.. ma, ecco.. mi piacerebbe se ci vedessimo ancora. Magari potrem.. ehm, ti andrebbe se ci scambiassimo i numeri di telefono?" aveva detto tutto d'un fiato. Con la sensazione di aver fatto una figuraccia colossale e che avrebbe fatto meglio a tacere. Solitamente non aveva mai avuto problemi a chiedere il numero a un ragazzo, anzi, era sempre stato piuttosto sfacciato. Ma Ben aveva qualcosa che lo intimidiva. Quegli occhi, quello sguardo sicuro: lo facevano sentire nudo. E si sentiva un ragazzino alle prime armi. Non aveva mai creduto in quello che lui stesso chiamava ironicamente colpo di fulmine. Solo il nome lo faceva sorridere. Ma quel ragazzo gli era piaciuto veramente, e aveva spiazzato via quella proverbiale razionalità, che spesso veniva scambiata per freddezza. 
"Ormai pensavo che non me l'avresti più chiesto. Stavo perdendo le speranze, professore."

Per la settimana successiva Harry gli aveva scritto ogni giorno, cercando di non essere troppo avventato. Non sapeva nemmeno lui quale fosse il modo giusto per procedere, ma non voleva correre. Ogni mattina gli augurava una buona giornata e gli mandava un bacio. Si sentiva un po' ridicolo. In effetti non aveva mai corteggiato con decisione un ragazzo, forse perché non ne aveva mai avuto bisogno. E di certo non aveva mai provato la paura di perderlo. Non sapendo come fare, aveva scelto di dare ascolto alle proprie sensazioni, di arrendersi al fatto di scoprirsi disarmato, e cercando di non sentirsi troppo idiota nello scrivergli ogni volta che gli veniva voglia. Talvolta gli chiedeva cosa stesse facendo, altre gli raccontava qualche aneddoto capitatogli durante la giornata. Ogni sera, prima di spegnere la luce della camera e di chiudere le pagine di un libro, gli augurava la buonanotte. E lui rispondeva sempre, seppur senza esporsi troppo. Con cortesia e talvolta dolcezza, ma facendogli capire che sarebbe dovuto essere lui a mettersi in gioco, che lui non era come gli altri. Che l'avrebbe dovuto corteggiare, facendolo sentire di potersi fidare di lui.

Era stato verso metà mattina del sabato successivo che Harry aveva stretto in mano il cuore e un'abbondante porzione di coraggio, e l'aveva chiamato. Aveva preso in mano il telefono e richiamato il suo numero dalla rubrica, camminando nervosamente su e giù per il suo appartamento, e sentendo fino al cuore il rimbombo di ogni squillo del telefono. Magari nemmeno mi risponde, aveva pensato il ragazzo dopo il quarto squillo.
"Ciao!" Ben aveva risposto dopo sei squilli, con voce pimpante, apparentemente euforico. "Come stai? Non sei a lavoro stamattina?"
"No, il sabato per fortuna non lavoro. Oggi posso fare tutto con calma. Io sto bene, un po' stanco per tutta la settimana ma non mi lamento.. tu?"
"Bene Har! Oggi cercherò di studiare qualcosa. Tra un po' ci sono gli esami."
"Si, hai ragione. Allora non ti disturbo troppo" aveva detto scherzosamente lui. 
"Nessun disturbo professore. Mi ha fatto piacere la tua chiamata."
"Senti Ben, che cosa ne dici se stasera facessimo qualcosa insieme?" era riuscito a dire sforzandosi di contenere l'emozione, e cercando di mantenere inalterato il tono della voce. 
"Mi farebbe molto piacere. Stasera però avrei un mezzo impegno con un'amica. Si è appena lasciata con il ragazzo. Sai, un vero stronzo, e ha voglia di parlare un po'."
"Capisco.. ci mancherebbe" aveva risposto stupendosi di essere riuscito a mascherare la delusione. 
"Ma io non ho troppa voglia di starla a sentire e di farmi venire la depressione. Facciamo che ti mando un messaggio dopo pranzo se riesco a liberarmi? Magari andiamo al cinema, che dici?"
"Va benissimo Ben. Allora ci sentiamo più tardi. E buono studio."
"Ciao Har, un bacio." 

Dopo aver chiuso la telefonata, aveva lanciato il telefono sul divano, e si era sentito pervaso da una scarica di adrenalina mista a felicità. La telefonata con Ben lo aveva emozionato, e l'eventualità che lui potesse accettare il suo invito lo faceva sentire pazzo di gioia. Avrebbe voluto saltare, mettersi a correre su e giù per l'appartamento. Oppure spalancare la finestra e urlare squarciagola. Naturalmente non aveva fatto nessuna di queste cose, limitandosi a pensare a come ingannare l'attesa. 
Non aveva voglia di uscire a fare una passeggiata, anche perché pioveva a dirotto. E nonostante adorasse camminare, sotto la pioggia, quel giorno aveva deciso di attendere la risposta di Ben nel calore del suo appartamento. Si era avvicinato alla libreria con l'intenzione di guardare un dvd. Dopo aver scorso velocemente con lo sguardo i vari titoli, soprattutto d'azione, sistemati sul ripiano centrale, aveva deciso che avrebbe dedicato la mattina ad altro. Anche perché si sentiva troppo euforico per starsene fermo sul divano per tutta la durata di un film. 
Dopo aver passato con cura l'aspirapolvere, steso la lavatrice e sistemato un po' la casa, si era seduto a leggere qualche quotidiano su internet. Dopodiché aveva messo un po' di musica e aperto il frigorifero per scegliere cosa mangiare a pranzo. Si sarebbe concesso un bel risotto, non tanto perché ne avesse davvero voglia, ma perché la lunga preparazione avrebbe ingannato l'attesa. Benché non avesse tutti gli ingredienti necessari, decise comunque di preparare quello al salmone, ovviando alla mancanza delle specie cuocendolo con abbondante vino bianco. Aveva preparato tutto con la massima calma, dedicandosi alla cura dei dettagli, e ci aveva impiegato una buona mezz'ora. Nel frattempo aveva aperto un bitter e lo aveva allungato con una spruzzata di vermentino. L'orologio della cucina gli aveva ricordato che era arrivata l'ora di pranzo. Ma di Ben nessuna traccia. 

Figuriamoci se mi fa sapere qualcosa, aveva pensato mentre sorseggiava il suo aperitivo. Mi ha detto così soltanto per non darmi un due di picche. 
Per certe cose Harry era sempre stato poco fiducioso, soprattutto in fatto di uomini. Anche se sapeva di riscuotere molto successo, non sembrava volerne prendere atto. Talvolta accadeva che ancora si stupisse quando veniva a sapere di qualcuno interessato a lui. E quando si accorgeva di aver osato troppo con qualche ragazzo, andando oltre la sua soglia abituale, ecco che subentrava puntuale il suo pessimismo cronico. Tanto che la suoneria del suo Iphone, che gli indicava un nuovo messaggio ricevuto, lo aveva stupito. E non volendosi illudere, aveva aperto il messaggio pensando che si trattasse di qualche stupida comunicazione pubblicitaria. 

"Va bene se ci vediamo alle nove di fronte alla facoltà? Io abito là vicino. Niente cinema però. Pizza? Un bacio, Ben" 

Gli era sembrato di essere tornato per un istante bambino. Di provare la stessa emozione di quando sua mamma tornava dal lavoro con qualche dono per lui. Glielo poggiava sul letto, avvolto in quella carta dorata che lui tanto amava. Tanto che cercava di aprirlo senza rovinarla, in modo da poterla conservare o riutilizzare per qualcuno dei suoi giochi.  Quando era piccolo non gli piaceva illudersi sul  contenuto dei regali, e per evitarsi brutte sorprese, si immaginava che dentro ci fosse una macchina. Perché le macchine non gli erano mai piaciute, e nonostante sapesse che la mamma non gliene avrebbe mai regalata una, provava sempre la stessa gioia e lo stesso stupore quando ne scopriva il contenuto, e si accorgeva che si trattava di qualcosa che adorava. Com'era successo per quel peluche a forma di gatto nero, che aveva ricevuto poco più che bambino. Era diventato subito il suoi giocattolo preferito, e lo avrebbe custodito gelosamente, tenendolo con sé, sul comodino a fianco del letto, anche ai tempi del liceo. 
Qualche anno dopo sarebbe stato l'unico oggetto che avrebbe portato via dalla casa della mamma, dopo averla salutata con un bacio, sul letto d'ospedale. Per sempre. 

Aveva deciso di non rispondere subito al messaggio di Ben. Non voleva darle l'impressione che non avesse fatto altro che attendere sua risposta durante tutta la mattinata. Avrebbe pranzato con calma, ascoltando la musica. Si era preparato il caffè e lo aveva sorseggiato sul divano, con il telefono nella mano sinistra. 
"Oggi ho proprio voglia di una bella pizza. Alle nove sarò da te. A dopo. Un bacio, Har."











Tempi sospesi] Larry Stylinson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora