"A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che volta, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che succede a un chiodo per darlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Non ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. [...] E' una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se non ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave." Ci rimasi secco. Fran."
Novecento di Alessandro Baricco era sempre stato uno dei suoi libri preferiti. Forse il suo preferito in assoluto, uno di quelli che leggeva e rileggeva. Gli capitava spesso, quando si trovava a girare pensieroso per il suo appartamento, di avvicinarsi alla libreria e di prendere in mano Novecento. Aprire una pagina a caso e di cominciare a leggere. E lo leggeva sempre ad alta voce, lo considerava un regalo per se stesso. Una sorta di restituzione personale a cui necessitava nei momenti di sconforto. O semplicemente quando si sentiva più pensieroso del solito. Leggendolo ad alta voce gli sembrava di assaporarne meglio ogni singola parola.
Ma non era così per tutti i libri, gli succedeva solo con quelli a lui più cari. Solo alcuni li sentiva veramente parte di sé, e solo di alcuni aveva bisogno. Novecento era uno di questi.Una sera, dopo essere tornato stanco e di malumore dall'ufficio, aveva perfino immaginato di trovarsi al centro di un grande teatro, gremito di persone, venute fino a lì per ascoltarlo: uno di quei teatri famosi, dove la gente entra ben vestita. Donne eleganti, rese ancora più belle da vestiti scuri: quelli tenuti nell'armadio per le grandi occasioni. Trucco perfetto, non eccessivo e capelli appena sistemati e acconciati. Gli uomini rigorosamente in abito, con camicie bianche e cravatte eleganti. Sbarbati e tirati a lucido per la serata, per essere all'altezza delle loro dame. Aveva addirittura immaginato di sentire l'emozione della prima. E aveva letto come se stesse recitando per quella platea, nella solitudine del suo salotto. E lo aveva fatto talmente bene, e con tanta passione, che terminata la lettura, si era sentito stanco, e si era ritrovato con la pelle d'oca.
Quando, alla luce tenue che illuminava la veranda, Harry aprì a caso la pagina quarantacinque e riconobbe quel passo non riuscì a non sorridere. Si alzò in piedi, rivolse lo sguardo verso il lago e sentì l'esigenza di leggerlo ad alta voce. Come faceva nel suo appartamento. Di recitarlo, proprio come quella sera. E lo lesse in maniera solenne, dando spazio a tutte le emozioni che si nascondevano tra quelle righe. Come se, disposta ordinatamente sui tetti delle piccole case sottostanti, ci fosse la stessa platea di quella sera ad ascoltarlo. E lo interpretò talmente bene, e in maniera così profonda, che, anche stavolta, gli vennero i brividi.
Da quando Ben se n'era andato non era ancora riuscito a ritrovare la sua serenità. Non si può dire che non si fosse sforzato, lavorando con impegno più del solito, e creando nuovi stimoli in attività in cui, fino a quel momento, si era sempre privato. Da quelle sportive a quelle culturali. Si era iscritto nella palestra sotto casa sua, dove per tre volte a settimana sollevava qualche peso. Gli altri giorni, invece, si dedicava a una corsa sul lungomare. Aveva iniziato ad andare al cinema con regolarità. Ogni tanto riusciva ad andarsi con qualche amico, molto spesso finiva per andarci da solo. E la cosa non gli dispiaceva. Riusciva a godersi il film e a non pensare, almeno per quelle due ore. Ma si erano rivelati tutti soltanto degli espedienti.
Ben si era portato via il suo sorriso."Non ti amo più!" aveva sentenziato risoluto dopo l'ennesimo litigio. Harry non aveva dato troppo peso a quelle parole. Aveva pensato che fossero soltanto dettate dalla rabbia. Il solito, patetico, tentativo di ferirlo. E che, come ogni volta, Ben si sarebbe riavvicinato a lui, pentito, porgendogli dolcemente le sue scuse. E, come dopo ogni litigio, aveva preso un libro e una coperta, la solita coperta marrone. Quella che solitamente era destinata agli ospiti, e se n'era andato a dormire sul divano.
Stronzo! Questo, almeno, l'aveva pensato.Era andato via una mattina di circa un anno prima. Senza avvisare. Senza lasciare nemmeno un biglietto. Quel giorno Harry si era alzato per andare al lavoro e non l'aveva trovato in casa. A pensarci bene nemmeno si ricordava se proprio quella notte avesse dormito sul letto, con lui, o sul divano. Aveva immaginato che si fosse svegliato presto per qualche commissione, o per qualche colloquio di lavoro. Che non l'avesse voluto disturbare. Ma non era oggi che aveva quel colloqui per il negozio di animali? si era improvvisamente ricordato. Questa sua considerazione mattutina, in effetti, era esatta. O meglio, era esatta solo a metà, ma questo, non poteva ancora saperlo.
Ben era andato veramente al colloquio, quello che lui stesso gli aveva rimediato qualche giorno prima al negozio di animali. Harry era andato a lavoro, e durante tutta la giornata non aveva provato a chiamarlo, ignaro di quello che sarebbe successo, e forte del fatto che il signor Erik, il proprietario del negozio, gli aveva assicurato forti possibilità di assunzione. Lo conosceva da qualche anno, da quando si era trasferito nel nuovo appartamento, da quando aveva deciso di prendersi cura di quel vecchio gatto malconcio che nessuno voleva. Da allora tra i due si era creata una cera complicità. Ogni tanto Harry, mentre rientrava dalla palestra, si fermava di fronte alla vetrina del piccolo negozio, a guardare gli acquari con i pesci. Non gli piacevano, non gli erano mai piaciuti, nemmeno da bambino. Però rimaneva affascinato da quella moltitudine di colori. E gli piaceva fermarsi a vedere i pesci palla, gli facevano simpatia.
Quando l'anziano signore lo vedeva là fuori, lo invitava a entrare, gli preparava un caffè e scambiavano quattro chiacchiere.Mi chiamerà non appena avrà saputo qualcosa, aveva pensato e mi ringrazierà. Magari stasera potremmo andare a festeggiare nel nostro ristorante. Una bella cena è proprio quello che ci vuole.
Era convinto che, prima o poi, avrebbero smesso di litigare per qualsiasi cosa. Che sarebbero riusciti ad andare veramente d'accordo. Forse avrebbe anche voluto un figlio con lui. Però di questo non gliene aveva mai parlato. Si era anche convinto di amarlo, ma, nemmeno questo, gli aveva mai detto.
Aveva iniziato a sospettare qualcosa soltanto verso l'ora di cena, dopo aver atteso invano un messaggio o una chiamata. Non aveva provato a contattarlo e non aveva pensato che potesse essergli successo qualcosa. Aveva ordinato una pizza, una quattro formaggi, gigante, come al solito, e l'aveva mangiata mentre guardava un vecchio film d'azione alla televisione. Bevendo una birra fresca. Aveva spento il cellulare ed era andato a dormire. Sul letto, da solo. E da solo si era risvegliato, l'indomani mattina.Il suono della sveglia, accompagnato da una gelida sensazione di vuoto, l'aveva fatto sentire improvvisamente sconsolato. Aveva capito che Ben era andato via. E non sarebbe più tornato.
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Tempi sospesi] Larry Stylinson.
RomanceCi tengo a precisare che questa storia non è di mia invenzione, ma è un libro che ho letto ed è di Marco Conti. [Capitolo 10.] "Harry, assorto completamente nei suoi pensieri e distratto da certi scomodi ricordi, spalancò il portone con vigore, fac...