Capitolo dodici.

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Nonostante l'entusiasmo e la voglia irrefrenabile di vederlo, si fermò un istante di fronte al portone della locanda. Aveva bisogno di recuperare la calma. Non voleva lasciarsi travolgere dall'eccitazione, e soprattutto non voleva correre il rischio di ripetere la figuraccia della sera precedente. Fece un respiro profondo e varcò l'ingresso del locale. Adagio. Stavolta non trovò nessuno intento a sistemare la sala. Cercò di contenere la delusione, e rimase immobile, interdetto per quell'inaspettata solitudine. Fermo di fronte alla credenza nella quale lui stava sistemando i piatti la sera prima. 
"Buonasera!" pronunciò a voce alta, sperando di attirare l'attenzione di qualcuno, ma non ricevette risposta. Gli sembrò strano che non ci fosse nessuno, poi gli venne in mente che Louis potesse essere in cucina a dare una mano al padre. Percorse la sala lentamente, notando che tutti i tavoli anche questa volta erano vuoti. Pensò che quel posto dovesse lavorare soltanto per i clienti dell'albergo o magari per qualche comitiva di turisti. La gente del posto non doveva essere solita andare a cena fuori, tranne, magari, per qualche ricorrenza particolare. Passando di fronte alla porta della cucina cercò di scorgere qualcuno, o di udire qualche voce, ma il suo tentativo si rivelò vano. Tutto era pervaso da uno strano silenzio.

Si sedette nello stesso tavolino e accese la televisione. Il telecomando doveva essere rimasto lì dalla sera precedente, proprio da lui. Dopo aver scorso rapidamente i canali, e non avendo trovato niente che catturasse il suo interesse, sintonizzò il vecchio apparecchio sul canale musicale. Proprio com'era solito fare nel suo appartamento. Perlomeno la musica avrebbe rotto quel silenzio. Pochi istanti dopo uscì dalla porta della cucina il proprietario della locanda, probabilmente attirato dalla musica che Harry aveva diffuso nel locale. Portava un grembiule molto simile a quello della sera precedente, ma questa volta senza macchie di sugo. Aveva lo stesso modo di fare gentile e accogliente e si rivolse a lui con un sorriso.
"Buonasera Harry. Mi permette di chiamarla per nome? Anche se non ci siamo presentati, ormai è diventato famoso in paese. Cosa vorrebbe mangiare oggi?"
"Ma certo" rispose in maniera cordiale e un po' divertita. "Cosa mi consiglia?"
"Potrei farla provare della pasta al forno. L'ho fatta io. E per secondo magari un arrosto misto di carne, le va?"
"Molto volentieri."
"Gliela porto subito allora. E' quasi pronta."
Harry avrebbe voluto chiedergli di Louis. Si chiede dove fosse. Pensò che magari non aiutasse sempre il padre alla locanda, che l'incontro della sera prima fosse stato solo un caso. Ma non voleva essere troppo esplicito nei confronti di quell'uomo, che glia aveva fatto da subito un'ottima impressione. 
"Stasera le tocca fare tutto da solo, eh?" gli sembrò il modo più indiretto e meno invasivo per chiedergli di Louis. 
"Eh sì. Mio figlio è andato a trovare la zia. E' una donna molto anziana e oggi tocca a lui farle compagnia. Ma me la cavo bene anche da solo" rispose in maniera scherzosa. 
"Ah, su questo non ho alcun dubbio!"

Harry rimase un po' deluso dalle parole dell'uomo, per il semplice motivo che non avrebbe potuto vedere Louis. Ma quel simpatico locandiere aveva la contagiosa capacità di trasmettere tranquillità. Sembrava in pace col mondo e con se stesso, o meglio, sembrava aver intuito che non ci fosse modo migliore per vivere la propria vita. 
"Lei ha già mangiato?"
"No, di solito mangio sempre sul tardi, dopo che ho sistemato la cucina."
"Perché non si siede e mi fa compagnia?"
Subito dopo aver pronunciato queste parole, si stupì della sua proposta. Lui che aveva sempre amato la solitudine e che non aveva mai avuto problemi a mangiare da solo, accompagnato soltanto da qualche canzone. Ma si sentiva bene e aveva proprio voglia di scambiare quattro chiacchiere con quella che aveva subito considerato una persona piacevole. E, benché non riuscisse a capirne il motivo, non voleva lasciarlo solo nel silenzio di quella cucina. 
L'uomo fu sorpreso della sua richiesta, ma il suo sorriso gli fece intuire che non avrebbe rifiutato l'invito. 
"Mi permetta almeno di farle assaggiare un vino speciale."
"Con molto piacere."
Dieci minuti dopo l'uomo si avvicinò al tavolo con in mano una bottiglia di vino rosso e un'abbondante teglia di pasta al forno. Nel frattempo Harry si era avvicinato a uno dei tavoli apparecchiati e aveva preso un piatto, le posate e un tovagliolo. I bicchieri non erano stati sistemati, quindi ne aveva preso uno dalla credenza. Aveva poggiato tutto nel suo tavolo, di fronte a lui. L'uomo si sedette stancamente sulla sedia. Non era più giovane, ed evidentemente a fine serata era solito accusare un po' di stanchezza. Harry provava una certa curiosità. Non riusciva a inquadrarlo. Avrebbe voluto sapere tutto, della sua vita, della sua storia. Avrebbe voluto chiedergli di Louis. Provava per lui simpatia ma anche rispetto. 

Parlarono per oltre due ore. Harry raccontò del suo lavoro e della sua passione per la scrittura, dei suoi progetti futuri e del fatto che ogni tanto gli venisse voglia di partire e di ricominciare da zero. L'uomo parlò della locanda, di quanto non fosse facile mandarla avanti da solo. Di quanto Louis fosse per lui speciale, e di quanto non fosse stato facile crescerlo da solo. La teglia di pasta al forno la mangiarono tutta, tanto che Harry si sentì talmente sazio da non assaggiare nient'altro. Anche la bottiglia di vino speciale scelta dal locandiere finì in poco tempo.
Regnava un'atmosfera di tranquillità e di pace, e i due uomini sembravano meravigliati di essersi raccontati l'un l'altro, ma non pentiti. Probabilmente avevano bisogno di aprire le port del loro cuore e del loro passato a qualcuno. Era trascorso troppo tempo dall'ultima volta. 
Terminarono la serata con una lunga partita a scacchi. Harry perse, ma diede filo da torcere all'uomo, che sembrava aver molta più dimestichezza di lui. Non era mai stato un abile scacchista. Non giocava da tempo, a parte quella rapida partita fatta al computer poco prima, e non ricordava più né aperture e né tattiche particolari, ma aveva sempre amato quel giorno che lo attirava ed entusiasmava. Possedeva la capacità di saper ragionare bene sulla scacchiera e di riuscire a intuire le mosse dell'avversario. L'anziano locandiere, benché più abile, dovette faticare non poco per chiudere la partita con lo scacco matto. 

Harry si alzò dal tavolo a notte inoltrata. 
L'uomo non gli fece pagare la cena e gli strinse la mano. Lo fece in maniera calorosa e affettuosa, come a volerlo ringraziare. Anche se fu Harry a provare una sensazione di gratitudine. E non perché gli avesse offerto quella teglia di lasagne e quella bottiglia di vino, ma perché gli aveva restituito la voglia di condividere se stesso e la sua vita. Per un attimo pensò al suo lavoro. Ogni giorno si dedicava al prossimo, mettendo a disposizione tutta la sua capacità di accoglienza e di ascolto e riteneva di essere in grado di farlo abbastanza bene. Quella che col tempo aveva perso era l'abitudine a farsi ascoltare, a raccontare se stesso. E quella sera sembrava averla ritrovata. 
 Prima di uscire dalla locanda prese dalla credenza una penna. Estrasse dalla tasca dei pantaloni quei fogli che, seppur un  po' spiegazzati, avevano atteso che arrivasse il loro turno. Si appoggiò al tavolino d'ingresso e scrisse qualcosa, sforzandosi di utilizzare una calligrafia comprensibile. 
"Mi piacerebbe regalare queste pagine a Louis. Gliele potrebbe dare?" si rivolse all'uomo con una nota d'imbarazzo e con una sensazione che non riusciva a decifrare. 
"Certo. Lo farò appena rientra."
"Grazie di tutto."
"Grazie a lei Harry. Spero che avremo l'occasione per la rivincita."
"Lo spero anch'io. Anche se dovrò allenarmi parecchio" rispose sghignazzando. 

Uscì dalla locanda sorridente, leggero. Spensierato. 
Per un attimo gli venne in mente che Louis avrebbe potuto trovare ridicoli quei fogli e le parole che aveva scritto con l'inchiostro blu. Avrebbe anche potuto ridere di lui. Ma non se ne preoccupò, anzi, si convinse ancor di più di aver fatto la cosa giusta. 
Entrò in auto e si sentì stanco. Si sarebbe buttato sul letto, e nonostante la tarda ora, avrebbe comunque impostato la sveglia del cellulare in modo da non correre il rischio di svegliarsi tardi. L'entusiasmo avrebbe prevalso sulla sensazione di sonno e poi aveva troppe cose da fare. E voleva avere tutto il tempo di farle con calma. Accese quindi il motore e abbassò completamente il finestrino. L'aria fresca gli accarezzò il collo e il viso. Si scompigliò i capelli e ingranò la prima, accese la radio e si diresse verso l'albergo. 

Tempi sospesi] Larry Stylinson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora