Capitolo undici.

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La mattina dopo si svegliò molto tardi, come non gli accadeva da tempo. E non provò nessun rimorso per aver perso quella mezza giornata che avrebbe dovuto dedicare alla scrittura della sua storia. Si sentì quasi sollevato, come se il suo corpo e la sua mente avessero davvero bisogno di quel ritrovato riposo. Si meravigliò soltanto di non essere stato svegliato presto dalla luce del sole, che aveva iniziato a illuminare la sua stanza già dalle prime luci dell'alba. 
La notte precedente, dopo essere rientrato in camera ed essersi buttato sul letto, aveva fatto fatica ad addormentarsi. Era passata da poco la mezzanotte e lui continuava a starsene steso con le mani dietro la nuca, con lo sguardo fisso verso la finestra aperta. Non aveva sonno, e non si sentiva stanco. Continuava a pensare a Louis, e a quanto quel semplice incontro l'avesse rasserenato, quasi rigenerato. Con la sua dolcezza era riuscito a farlo sentire di nuovo vivo. E si era svegliato con lo stesso pensiero, accompagnato da quelle piacevoli nuovi sensazioni. 

Prese in mano il cellulare e si accorse che era da poco passato mezzogiorno. Il display non segnalava nessuna chiamata persa né alcun messaggio ricevuto. Gli sembrò strano, ma non se ne dispiacque. Decise di rilassarsi sotto le lenzuola ancora per qualche istante. 
"Tanto ormai la mattinata è andata" si disse ad alta voce. Si girò sul fianco destro, in modo da dare le spalle alla finestra e alla luce del sole che gli stava arrivando proprio sul viso, e chiuse di nuovo gli occhi. Pensò alle sensazioni provate la sera prima e si accorse di non aver fatto in tempo nemmeno a salutarlo. Per un attimo si impose di pensare a Ben, come per non volerne tradire il ricordo. Ma non gli venne in mente nulla e sorrise dopo essersi reso conto di non averne nessuna voglia. 
Dopo una lunga mezz'ora passata a godersi il calore del sole che gli scaldava la schiena, decise di alzarsi dal letto. Oggi non avrebbe fatto nessuna corsa mattutina, anche perché aveva mantenuto una buona andatura la mattina precedente, e poi era solito correre sempre a giorni alterni. Entrò in bagno e si sciacquò il viso con acqua fredda. Si guardò attentamente allo specchio, e vide la sua immagine meno sciupata. Si sentiva solare, sereno. Per quell'istante ebbe anche l'impressione di essere bello, ma solo per quell'istante. Pensò a come avrebbe potuto trascorrere la giornata, ma non gli venne in mente nessuna alternativa stimolante. Giunse soltanto alla conclusione di non aver voglia di uscire, e di non sentirsi ispirato per scrivere. E non perché fosse pervaso dalla malinconia o qualche sensazione negativa, semplicemente perché sentiva il bisogno di stare da solo con questa serenità ritrovata. Aveva bisogno di respirarla, dato che l'aveva smarrita ormai da troppo tempo. Pensò che fosse proprio l'occasione buona per tenersela stretta nel palmo della mano e per dedicare quella giornata solamente a se stesso. Decise che non si sarebbe arrovellato alla ricerca di soluzioni e che non avrebbe fatto niente di particolare tutto il giorno. Avrebbe atteso l'ora di cena, cullandosi sul suo buon umore. Magari leggendo un libro, o ascoltando un po' di musica. Non vedeva l'ora di incontrarlo di nuovo.

Dalla tasca  laterale della valigia, che aveva riposto sotto il letto, prese la pennina nera, quella che gli avrebbe consentito di accedere a internet, e la infilò nella porta usb del computer portatile. Si sedette sulla sedia, a torso nudo, e si mise a leggere qualche quotidiano. Lesse anche quelli sportivi, ma molto velocemente, soffermandosi solo sugli articoli che riteneva più interessanti. Entrò in un sito di musica per dare un'occhiata alle novità e alle classifiche musicali. Fece lo stesso con i siti riservati a libri e film. Scorreva le pagine in maniera distratta e si sentiva bene, e starsene di fronte al computer con la mente sgombra lo rilassava. Trascorse davanti allo schermo un paio d'ore, e si concesse anche di controllare le offerte di un famoso sito di abbigliamento e scarpe. Addirittura di addentrò in una complicata partita a scacchi contro un avversario virtuale tedesco: vinse abbastanza agevolmente. 
Intorno alle cinque si alzò di scatto dalla sedia, si rimise la maglietta e decise che si sarebbe buttato a letto un'altra oretta. Ebbe la strana sensazione di dover approfittare al massimo di questa sua ritrovata armonia per recuperare tutte le tensioni accumulate. Impostò la sveglia del cellulare in modo da avere tutto il tempo di prepararsi con calma per cena. Prima di addormentarsi pensò che avrebbe voluto parlare a lungo con Louis. Magari avrebbe potuto invitarlo a sedere al suo tavolo. Furono questi pensieri a farlo cadere in un sonno talmente profondo che la sveglia dovette suonare a lungo prima che Harry si decidesse a spegnerla.

Nonostante fosse un po' disorientato da quell'insolita dormita serale, si sentiva elettrico, pieno di energia. Si rilassò ulteriormente con una lunga doccia fresca e sotto il getto dell'acqua decise che quella sera non si sarebbe messo la tuta, che avrebbe indossato una camicia. Magari quella nera che utilizzava per le riunioni di lavoro. L'avrebbe accompagnata con un paio di skinny neri e con un'abbondante spruzzata di profumo. 
Estrasse dalla valigia una cartellina trasparente che conteneva dei fogli. Erano dei racconti che aveva scritto qualche anno prima. Molto brevi, di qualche pagina. Dopo aver sfogliato lentamente il mazzo, ne prese in mano uno, lo piegò e se lo infilò in tasca. Si trattava di una piccola favola che aveva scritto poco dopo la laurea, una fredda notte invernale in cui non riusciva a prendere sonno. Nonostante non gli avesse nemmeno mai dato un titolo, si sentiva molto legato a quella storia. L'aveva sempre chiamata semplicemente La favola della principessa e del guerriero. 
Si passò le mani tra i capelli sistemandoli disordinatamente da un lato e uscì dalla camera. Non erano neanche le otto, e come previsto, in portineria non trovò nessuno.  Anche quella sera non avrebbe potuto consegnare le chiavi della numero quattro, e se le sarebbe dovute infilare nella tasca dei pantaloni. Decise che sarebbe andato alla locanda in macchina, non perché non avesse voglia di passeggiare o perché si sentisse più stanco del solito, ma perché moriva dalla voglia di rivederlo. E non voleva aspettare. Salì in fretta nella macchina e accese il motore. Non controllò la sua immagine nello specchietto retrovisore, come al suo solito, e non diede nemmeno un'ultima occhiata al suo look prima di uscire. Arrivò in pochi minuti. Parcheggiò l'auto, in modo che non ostacolasse il passaggio delle altre vetture, e scese, rimboccandosi le maniche della camicia. Chiuse lo sportello e si infilò una mano in tasca, e non per estratte il pacchetto di Camel blue che aveva deciso di lasciare in albergo, ma per controllare che quei fogli, che aveva accuratamente piegato, fossero ancora al loro posto.








Tempi sospesi] Larry Stylinson.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora