1. Prosecco

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La verità è che, da quando il presidente del consiglio – quell'uomo affascinante che risponde al nome di Giuseppe Conte – ci ha chiuso in casa, tutto è cristallizzato.

Sembra che il respiro dell'Italia sia al momento trattenuto, che tutto sia immobile, al di fuori delle quattro mura in cui siamo confinati.

È strano, eravamo più pronti all'idea di una terza guerra mondiale che a un'epidemia, eppure eccoci qua, a fare gli eroi con il culo sul divano e con la paura di perdere il lavoro.

Sono passati cinque giorni da domenica otto marzo e le abitudini degli italiani sono state stravolte. Abbiamo iniziato con i flash mob sui balconi, che hanno spopolato in tutto il mondo, invidiandoci il senso di unità che abbiamo trovato nell'essere distanti, per passare poi alle preparazioni di cibi che il resto delle Nazioni ci invidia. Praticamente siamo pronti per Masterchef o Bake Off. Siamo giunti ai workout casalinghi e allo smart working che, a quanto pare, se non vengono ripresi non sono validi.

Ma c'è una cosa che ora ci accomuna tutti, una cosa che mi sfinisce più dell'andare a lavorare ogni giorno con la paura di essere contagiata da questo virus altamente trasmissibile, che nelle mia zona sta facendo salire l'emergenza a un livello allarmante, tanto da zittire i nostri balconi: le videochiamate.

Così eccomi qui, di venerdì pomeriggio nell'orario dell'aperitivo, a parlare in videochiamata con le mie migliori amiche. Tra un "non ti vedo più" e un "non ti sento" riusciamo anche a parlare.

Sono passati cinque giorni dal lockdown che ci ha reso zona rossa, ma sono cinque giorni di videochiamate di troppo. Non ho mai visto così tanto i miei amici nemmeno quando potevo farlo!

«Marta, cos'è questo rumore?» Silvia mi riporta nella conversazione, mentre io mi dirigo sul retro del condominio, dove sento un leggero brusio che ha attirato la mia attenzione e quella delle mie amiche.

Apro del tutto la portafinestra del balcone e rimango spiazzata: nel piano superiore al mio, nell'ala corta del condominio che forma una perfetta elle, c'è un ragazzo sul proprio terrazzino, preparato di tutto punto.

Ha una consolle da DJ appoggiata su un tavolo di fortuna, un amplificatore e un microfono, che ha usato per richiamare i condomini sui rispettivi balconi. C'è da dire che quasi tutti, curiosi, hanno risposto all'appello.

Il ragazzo, trent'anni al massimo, è notevole: capelli chiari rasati, occhi brillanti di cui non riesco a distinguere il colore e un sorriso così bianco che in questo momento sento la mancanza di un paio di occhiali da sole, perché rischio di bruciarmi le retine. Indossa una camicia, dei jeans, ma vedo che è scalzo.

Di solito apprezzo tutto il contrario di quello che lui è, ma ammetto che merita.

Più lo osservo, comunque, più ha un qualcosa di famigliare che riesce a superare anche il velo della mia miopia.

Ha messo una musica chill di sottofondo per attirare la gente fuori di casa e ora fa una sorta di appello con i vicini. «Avanti, signori Manenti, non siate timidi, vi stiamo aspettando!» dice al microfono, tra le risate generali.

«Ma chi è?» Domanda Giulia, divertita da quello che sente.

«Boh, un mio vicino che si improvvisa DJ». Giro la fotocamera per riprendere quello che sta succedendo nella palazzina. «Se fa partire la Gasolina o una canzone di Avicii non penso che riscuoterà così successo. Potrebbe essere il flash mob più corto della storia».

«Ma perché fare queste tamarrate quando c'è gente là fuori che muore?» Elena è contrariata, ma è la sua caratteristica principale.

«Forse per coprire il suono delle ambulanze, o per far svagare le persone un po'». La verità è che siamo circondati dal silenzio e, per quanto la cosa possa non essere condivisa, apprezzo il suo tentativo di interrompere questo mutismo opprimente. È uno spezzare la monotonia e in un momento simile mi sembra una manna dal cielo.

Chiamami dal balconeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora