"Sei in ritardo Arya!" Karan mi salutò con un abbraccio "Si, scusa, ma ho dovuto prima accompagnare Tara all'asilo" la conversazione non continuò oltre mentre camminavamo insieme verso il cortile dell' università.
Karan era sempre stato un ragazzo di poche parole ma dai grandi sorrisi, lo conoscevo da pochi anni, quando incominciò a frequentare la mia stessa facoltà dopo essersi trasferito dall'India. Era quel tipo di persona che trasmette positività e in poco tempo tutti incominciarono a rispettarlo e ad amarlo nonostante ancora zoppicasse in italiano. A differenza mia, che avevo scelto volontariamente di sottopormi al lungo e stressante studio di medicina, Karan era stato indirizzato, per non dire obbligato, dalla sua famiglia, suo padre era un dottore in Kerala (India) mentre qui doveva sudare in fabbrica, nulla lo avrebbe reso più fiero di vedere suo figlio divenire medico come lui. Facile a dirsi che a farsi, in tre anni il mio carissimo amico aveva superato un solo anno, ma s'impegnava e migliorava di esame in esame. Era proprio la sua tenacia a renderlo passabile per la mia famiglia e permetterci di essere amici senza problemi, è un po' strano da spiegare ma i miei genitori come quelli di tante ragazze come me hanno un ruolo importante nel giudicare le mie amicizie e a quali permettere di essere le benvenute a casa e quali no.
"Arya ci sei?" Il bello di avere un nome corto e semplice? Nessuno storpiava la pronuncia e nessuno si inventava soprannomi strani. A chiamarmi era stata Elisa, una ragazza romana trasferitasi qui per gli studi, ragazza bella e solare che studiava poco e nonostante ciò riusciva a superare gli esami, poco ambiziosa anche se dotata di un'intelligenza molto acuta.
Mancavano pochi giorni all'uscita dei bandi per l'iscrizione per le specializzazioni e quindi avevamo ancora un po' di tempo per goderci questa libertà ma avevo promesso a Karan di aiutarlo per il suo esame ed Elisa si era auto invitata. Come al solito ci saremmo chiuso nella biblioteca a sfogliare quei grandi manuali di anatomia e di malattie infettive invece di aiutare il nostro compagno, che però sembrava apprezzare la nostra inutilità in cambio di una serena compagnia."Oh guarda chi c'è" Marisa interruppe il mio flusso di pensieri, lei, invece, era quel tipo di ragazze alle quali piace deridere per gelosia, il semplice fatto che agli esami riuscivo a prendere i suoi stessi ottimi voti nonostante fossi indiana non aveva senso nella sua testolina. Il peggio lo aveva dovuto affrontare quasi un mese fa, il giorno della laurea, avevo coronato i sei anni di studio disperato con un sudato 110 e lode mentre lei si era dovuta accontentare di un 110. Sembra strano anche pensarlo, ma eravamo grandi amiche al liceo, quando ancora non mi applicavo nello studio, ritrovarci nella stessa classe anche all'università ci sembrava un sogno, finché io non decisi che era ora di prendere lo studio sul serio ed avverare il mio sogno più grande.
Karan mi prese un gomito allontanandomi.La biblioteca era l'unico posto in cui non mi dispiaceva stare in silenzio, mi bastava anche solo passeggiare tra i grandi e piccoli volumi che riempivano gli scaffali per riacquisire il buon umore, mi piaceva leggere qualsiasi cosa di qualsiasi genere sin da quando ero bambina. Ultimamente, però, erano i libri di medicina che occupavano gran parte del mio tempo, volevo divenire oncologa per mio padre volevo essere io il suo medico per saper riconoscere e curare tutti i suoi dolori. "Sei stranamente silenziosa oggi" mi bisbigliò Elisa "È il tempo nuvoloso, non mi piace affatto, mi rende pensierosa" ci fu un coro di shh e di occhiatacce, forse non avevo bisbigliato, Karan mi sorrise.
Un paio di ore più tardi eravamo tutti e tre alla fermata aspettando i rispettivi pullman: Elisa abitava non molto lontano della sede, una ventina di minuti a piedi dalla casa dello studente, ma pigra com'era avrebbe preferito aspettare il doppio del tempo ed arrivare alla sua stanza comodamente, io e Karan invece prendevamo la stessa linea, la 19, ma mentre lui abitava nella periferia io abitavo in un piccolo borgo più avanti.
Parma è una città bellissima, camminare nelle sue strade è come fare un salto nel passato, e ci si sente spesso fuori luogo con pantaloni e canottiere, questo se non ci si trova nella parte più industrializzata, caotica e rumorosa che non mi piace affatto, sarà perchè sono cresciuta in un luogo tranquillo. Ottaviano, invece, è un piccolo borgo, talmente piccolo che fatico a credere esista sui GPS, una distesa di terre coltivate con una manciata di case, nessun negozio se non un caseificio ed un magazzino di mangimi animali.La vista della casa mi fece subito dimenticare il quarto d'ora che mi ero fatta sotto il sole dalla fermata, giugno era appena incominciato ma sembrava di essere in pieno agosto, o semplicemente l'una del pomeriggio non è l'ora più adatta ad una passeggiata. La casa in cui abitavamo era una modesta villetta dietro il grande caseificio dove i miei genitori avevano lavorato per anni, adesso, però, solo la mamma, in quanto la salute cagionevole di mio padre lo confinava sempre sul divano o sul letto, una casetta color pesca dalle persiane verdi, che tanto odiavo perché poco c'entravano con il peachy dell'intonaco. Due stanze, due bagni e un grande salone a cui collegata una cucina, niente di più e niente di meno, il pezzo forte era il giardino immenso, sempre ben mantenuto per eventuali rinfreschi a cura del caseificio stesso. Intravidi mia madre attraverso i grandi vetri dell'edificio mentre batteva il conto del cliente, è una donna bellissima come il suo nome Yasmìn, dai lunghi capelli neri e lucenti raccolti sempre in una cipolla ordinata alla base della testa, si accorse che la stavo guardando e mi fece un cenno per poi ritornare al suo lavoro.
Ad aprirmi fu Tara la mia sorellina di tre anni che mi saltò al collo "Lya!!", la sua voce è tra quelle che mi mettono in pace i pensieri, così piccola ed innocente era la bimba più bella che avessi mai conosciuto, era viziata ed adorata da tutti e nonostante ciò raramente faceva i capricci, a differenza nostra che avevamo occhi scuri lei li aveva azzurri, ereditati dalla mia cara Daddi, la nonna paterna. Tolta la borsa e cambiate le scarpe andai da mio padre a raccontargli cosa avevo scoperto oggi nei grandi libri di medicina e lo trovai che passeggiava nervosamente davanti al letto
"Ciao Abbu tutto bene?" Abbu Jaan significa letteralmente padre vita, è usanza della comunità musulmana in India aggiungere Jaan/vita accanto a tutti i gradi di parentele, e nonostante noi non lo fossimo avevo da tempo preso in prestito da loro il termine.
"Ha chiamato il dott. Verardi e ha chiesto di te perché capisco poco io, sono un pochino preoccupato" una corda di violino tesa, ecco cos'era da mesi la nostra vita, le chemio generali di mio padre oltre che fargli perdere capelli ed affaticarlo non sembrano più fare l'effetto desiderato "Certo lo richiamo subito!"
Ancora oggi mi chiedo come una chiamata possa significare l'inizio di una serie avvenimenti, che nella mia tranquillità mai avevo sognato, che mi avrebbero strappato lacrime di dolore e di gioia e risate felici e isteriche...
_______________________
Ciao a tutti! Che ve ne pare? Non dimenticatevi un commento o una stellina se vi è piaciuto!
-Raman
STAI LEGGENDO
Onore o amore?*sospesa*
RomanceUn amore che non conosce limiti mentre l'onore l'impone. Non è una storia di cuori infranti ma di sentimenti negati e repressi, della fragilità di un'amicizia e della fugacità della vita. Un percorso in una cultura maestosa fatta di feste e colori d...