Capitolo 3- Io non voglio conoscerlo

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Le parole scorrono davanti a me fluidamente e i miei pensieri fanno altrettanto. Con gli occhi incollati al libro e le mani completamente avvinghiate ad esso, come ad un'ancora di salvezza, immersa completamente nel mio mondo, non mi accorgo di un'ombra che si avvicina sempre di più, per poi fermarsi a pochi passi di distanza.
"Mi hai preso in parola, vedo". Una voce mi distoglie dal luogo straordinario in cui mi trovavo, catapultandomi nella realtà, una realtà che francamente faccio fatica a comprendere. Non sono bastate tutte le paranoie, le domande, i dubbi che mi hanno tormentato per tutta la mattina, o le occhiate incredule di tutte le mie compagne di classe, o ancora la poca concentrazione dell'intera giornata. Come dicevo, non sono bastate tutte queste conseguenze per nulla desiderate che mi hanno davvero fatto riflettere sulla mia presunta sanità mentale per ore, ma, per complicare ulteriormente la situazione, la fonte di tutti i miei problemi di quella mattina, ha pensato bene di presentarsi con tutta la sua nonchalance davanti a me, adesso, proprio nell'unico momento di pace di cui potrò godere per oggi. Fantastico, davvero fantastico. Se non mi credete, immaginate di dover vivere con una madre e una sorella, che sembrano pienamente concordi nel considerare il parlare incessantemente come l'unico scopo della propria vita, anche a discapito della serenità del genere umano. Per questo motivo, i momenti precedenti al ritorno da scuola, quando mi fermo in questa panchina così apprtata, sono davvero gli unici che posso dedicare solo a me stessa. Eppure, il destino non sembra volermi accontentare oggi.
"Mi dispiace, io davvero non volevo disturbarti. Se preferisci vado io", lo sento sospirare, quasi fosse davvero scontento del mio atteggiamento non troppo socievole nei suoi riguardi.
"Okay, calmati adesso", rimugino io, cercando invano di darmi un contegno, "sembra che tu abbia visto un fantasta o, peggio ancora, un serial killer".
"No...no, scusami tu, invece, ma mi hai colto di sorpresa. Di solito qui non ho compagnia", mi affrettò finalmente a rispondere, accennando un breve sorriso che non credo gli sia sfuggito.
"Capito. Comunque spero di non averti troppo delusa, questo mi farebbe dispiacere ancora di più..."
"Ma guarda che ragazzo gentile abbiamo qui. Potresti essere il protagonista di un tutorial sul ritorno alla galanteria ormai perduta!"
Lo vedo scoppiare in una risata sincera e cristallina, mentre nell'aria si diffonde un rumore del tutto simile a quello di un ruscelletto di montagna. Ma a colpirmi di più, sono proprio gli occhi che accompagnano quella gran risata: sicuramente, il loro colore è davvero stupendo, di un azzurro così intenso da riportare alla mente le acque di un oceano profondo, ma soprattutto il loro essere così luminosi, vivi, risplendenti di una luce davvero particolare.
"Beh, anche tu potresti essere gentile con me...", dice, sedendosi.
"Oh ma certo, fai pure con comodo, guarda. Comunque, in che modo potrei essere gentile con te? Anche se credo già di aver fatto tanto, permettendoti di sostare sulla mia panchina", dico, girandomi verso di lui e iniziando a giocare con l'orlo della maglietta, da cui fuoriesce un filo.
"Io credo che già tu conosca la risposta a questa domanda..."
"Potrei fingere di non ricordarmene, ma non credo che molleresti, quindi... piacere, io mi chiamo Alice", rispondo, alzando gli occhi per vedere la sua reazione. Inutile dire che subito il suo volto di estende in un sorriso aperto e soddisfatto.
"Ah, vedo che sei uscita dal guscio, bene. Evidentemente la galanteria ha i suoi pregi".
"Non li metto in dubbio".
"Bene", riprende, grattandosi distrattamente una guancia, senza smettere di fissarmi, "adesso, spero che dopo le presentazioni, mi sarà anche concesso farti qualche altra domanda, giusto?"
"Cosa ti aspettavi, eh, Alice nel paese delle meraviglie?" mi rimprovero.
"Credi di avere nelle mani già così tanta fortuna?" rispondo io, con una nota abbastanza sarcastica nella voce.
"Più che altro una speranza, anche molto piccola, che tu abbia intenzione di raccontarmi un po' della tua vita...".
Okay, io mi reputo una ragazza molto paziente: va bene il sorrisone, o le battute preconfezionate, o la perfetta gentilezza, o ancora il corpo proteso verso di me, il quale sembra proclamare a gran voce l'attenzione che pone ad ogni mia parola, ma di certo non posso passare sopra anche agli occhioni dolci che ostentano la speranza che io possa accontentarlo. Quello, francamente, non riesco a reggerlo.
Sforzandomi di scacciare quei pensieri, lancio una finta occhiata distratta all'orologio, mostrandomi subito incredula per l'ora tarda e alzandomi di fretta.
"Scusa, ma devo tornare a casa. Mia madre mi starà già aspettando", dico, mentre mi lascio sfuggire un sospiro.
Devo andarmene di qui.
Voglio andarmene.
Non è questo il mio posto.
E questo non può cambiare.
Io non posso cambiare.
Con questi pensieri che mi assillano continuamente, mi volto repentinamente e mi dirigo a passo svelto verso casa, con gli occhi bassi, mentre i capelli mi incorniciano il viso. Non mi volto neppure per un istante, continuo a camminare, nonostante il desiderio di rivolgere lo sguardo a lui, di nuovo, per perdermi ancora una volta in quei due profondi oceani cristallini, ma non lo faccio, perché qualunque cosa sia, una forza che non sono mai riuscita a controllare, continua a trascinarmi lontano da lui, lontano dalle sue aspettative.
Dopo aver percorso qualche metro, sono finalmente arrivata a casa, apro e richiudo velocemente la porta, quasi fossi inseguita da un mostro che sta tentando di afferrarmi. Anche se so quanto possa sembrare assurdo e irrazionale il mio comportamento, quante risate avrebbe suscitato a mia sorella o bonari rimproveri da parte della mamma, a me non importa. L'unica cosa che mi dona conforto, in questo momento, è il fatto di essere arrivata a casa, lontana da tutto e da tutti. Improvvisamente mi rendo conto di essere sola: ho completamente dimenticato che i miei genitori sono partiti per un fine settimana tranquillo a Trapani, in visita dai miei nonni materni, mentre mia sorella si è praticamente trasferita per questi pochi giorni di svago e di libertà, a casa della sua migliore amica, Lorena, così posso davvero sbizzarrirmi, fare ciò che voglio, ciò di cui sento un bisogno quasi fisico, adesso.
Poso lo zaino in fretta nel salotto, tolgo la giacca e gli stivaletti che ormai mi hanno intorpidito i piedi, mi dirigo verso la camera da letto e prendo dei vestiti per casa: un paio di leggins neri e una maglietta a maniche lunga.
Con le pantofole rosa e i capelli raccolti in un morbido chignon, sembro davvero una casalinga disperata, anche se il travestimento reggerebbe ancora di più se avessi il pancione e camminassi a piedi scalzi, fossi indaffarata nelle faccende domestiche e non aspettassi altro che il ritorno di mio marito, il quale, stanco dal lavoro, si sarebbe poi gettato sul divano, in attesa che la sua mogliettina gli portasse una bella birretta, con cui accompagnarsi davanti alla televisione.
"Beh, complimenti Ali, certo che sei brava a descrivere la vita di un comune maschio alfa. Adesso datti da fare", penso, con un sorriso sghembo. In cucina, metto su l'acqua per la pasta e, mentre aspetto che sia tutto pronto, torno in camera e mi siedo alla scrivania. So già cosa devo fare: quando sono agitata, per qualsiasi motivo, sento la necessità di scrivere, scrivere qualsiasi cosa. Perché non è importante quello che crei con la penna, ma semplicemente il conforto che essa ti offre, senza richiedere nulla in cambio.
"Io non voglio conoscerlo e non voglio nemmeno che lui insista. Ma chi si crede di essere? Fare domande? Sulla mia vita? Perché? Perché vuole conoscermi? Ma andiamo! Quando avrebbe deciso questa sua missione di vita? Quando mi ha visto sull'autobus, mentre leggevo un libro che probabilmente lui non ha mai nemmeno visto, ma solo utilizzato come scusa per avvicinarsi a me? Oppure a scuola, mentre lo accompagnavo in classe? Oppure sulla mia panchina, la panchina in cui io mi fermo a leggere o a pensare, chiedendo solo di non essere disturbata? Va bene, forse questo lui non avrebbe potuto saperlo, ma non importa, è proprio questo il punto! Non mi conosce, non sa un accidente di niente della mia vita! Come può arrivare a capirmi? È impossibile. E, soprattutto, se non ha la volontà di comprendermi, perché diavolo vuole conoscermi? Per criticare, o giudicare, sicuramente, perché ancora non ha la più pallida idea della persona con cui sta parlando".
Poso la penna sul foglio che ho strappato da un quaderno di scuola e mi fermo.
"Forse stai esagerando, neanche tu lo conosci".
"E neanche mi interessa conoscerlo!"
"D'accordo, ma forse, la prossima volta, dovresti imparare ad aspettare, ad avere pazienza, ad ascoltare chi ti sta parlando".
In questo momento, davvero non so cosa fare, sento solo confusione, mentre i pensieri si attorcigliano, creando un nodo che non riesco a districare. Da una parte, sono convinta di aver fatto bene ad andarmene, dall'altra mi rendo conto di aver esagerato, di essere stata maleducata con un ragazzo che si è mostrato solo gentile nei miei confronti. Ma io non posso e non devo fare ciò che non mi sento. Io non sono così, non sono una persona aperta, una persona con un sorriso a trentadue denti, senza paure o insicurezze, pronta più che mai ad affrontare la vita come se fosse un'avventura. Quel carattere non mi appartiene. Oddio, ma non è solo questo, perché sì, ho paura, ho sempre un'ansia incredibile di non essere capita, anche da chi vuole conoscermi. Chi mi dice che quella persona non riuscirà comunque  a comprendermi, anche dopo aver conosciuto la mia storia e la mia visione del mondo? Dopodiché, trarrà da sola le proprie conclusioni e io mi ritroverei ancora una volta a dover affrontare falsità sul mio conto.
"Ma forse la tua mancanza di apertura nei confronti dell'altro è proprio il motivo per cui non hai ancora trovato qualcuno che ti capisca".
Basta, non voglio più pensare, non sto facendo dei progressi, per niente, ma sto solo raccogliendo idee disordinate senza arrivare a nessun punto. Bene, se il modo A non funziona, vorrà dire che proverò con quello B.
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Dopo aver pranzato ed essermi resa nuovamente presentabile, mi dirigo verso la casa vicina alla mia, dalla signora Rossi, sperando di poter finalmente mettere ordine nella mia mente tutta sottosopra una volta per tutte.

~Spazio autrice.
Salve a tutti, siete arrivati alla fine del terzo capitolo. Vi dico subito che è stato molto difficile scriverlo, anche se è un episodio di passaggio. Spero di aver reso l'idea dei sentimenti della nostra Alice e spero di aver toccato il vostro cuore con le emozioni instabili della protagonista. Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti o cliccate sulla stellina.
Riuscirà Alice ad abbandonare la paura e vivere finalmente una vita libera e spensierata, abbandonandosi all'amore? Lo scopriremo insieme.

Alla prossima! 🌟

Guardami... ma guardami davvero. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora