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Affondai i denti sulla buccia d'arancia e poi la strappai via pezzo per pezzo con le dita. Il succo colò fino ai gomiti. Il profumo di agrume investì i miei sensi addormentati e la Sicilia uscì tra la scorza e la polpa.

«sono quelli dei nonni?» domandai concentrata sul rosso degli spicchi

«no, sono quelli di Cettina» rispose Salvo «i nonni sono alla casa al mare.»

«domani vorrei andarci anche io a raccoglierli» dissi convinta. Sentì silenzio, non ne hai bisogno avrebbero detto o che ci vai a fare? ma io non sollevai gli occhi dal piatto. Ritirai il labbro esposto concentrata nel non fare capire nulla e piuttosto che dare spiegazioni per l'ennesima volta le cose genuine mi piacevano, mi lanciai a capofitto, con tutte le energie a sbucciare quel povero e insofferente frutto.

Emisi un genuino mugolo di piacere non appena il sapore mi si sprigionò in bocca. Chiusi si occhi, un po' lo feci per catturare la sua attenzione, un po' perché davvero quelle arance avevano un sapore deciso

«pare che non ne vedi da una vita» mi ammonì Maria ma non la guardai e le dissi solo «quelle di Cettina sono uniche.»

Mi asciugai le mani sul tovagliolo e poggiai la schiena sulla sedia. Cercai Giosuè dalla parte opposta del tavolo che, in quell'asso di tempo, sorrideva a qualche battuta.

Lo amavo, non c'era nulla da fare. Lo amavo e non mi sarei abbassata ai doveri di nessuna natura. Fissai mia cugina e la invidiai terribilmente, me li immaginai pure, insieme, nel letto a dirsi ti amo una volta finito il complesso, magari fumava una sigaretta una subito dopo oppure si lasciava a corpo morto tra le federe e le lenzuola del letto che odorava di loro. Nessuno mai mi disse come si facevano i bambini, cosa si provava era un argomento proibito. Non vidi mai i miei genitori darsi un bacio sulle labbra. In me la curiosità era innata e le risposte le cercai tra i libri, o alle mie insegnanti che spesso arrossivano oppure si dileguavano. Era una cosa così naturale eppure non se ne parlava mai. Era forse un peccato amarsi? Era da buttana innamorarsi di un uomo ben lontano dagli stereotipi? E le classi sociali poi? Ricordo ancora quando andai da mia sorella e le dissi «quando vedo Giosuè sento una cosa nella pancia e mi batte forte il cuore, perché Teresa?» strabuzzò gli occhi a quella rivelazione poi sollevò le spalle e con disinteresse affermò «ti conosce che non eri nemmeno nata Anna sarà perché gli vuoi tanto bene.» Mi stavo innamorando, avevo undici anni ma già qualcosa di meraviglioso mi stava accedendo e anche se non aveva dato il giusto peso alle mie parole mi augurai che anche lei avesse provato quel genere di sensazioni.

Smise di masticare non appena capì che lo stessi fissando. Quella volta i suoi occhi non cercarono scorciatoie, non me ne privò e non fuggirono. Rimasero lì, intrappolati in una fitta rete di parole non dette. Come poteva non capire?

Presi il bicchiere di Vito e mi inumidì le labbra di vino. Non se ne accorse nemmeno.

Impilai i piatti, sparecchiai la tavola e rassettai la cucina pur di impegnare il tempo lontana perché la sua presenza avrebbe annebbiato la mia lucidità sempre più precaria. Ma lo spiai di tanto in tanto e quel ti amo ad un tratto pesò più del dovuto sulla punta della lingua. Lo sfiatati accostata alla porta della cucina. Quel segreto dovevo dirlo con la mia voce, in maniera infantile perché infantile lo ero davvero.

Li raggiunsi intorno al sofà, in piedi, a guardarli dall'alto.

«bene» iniziò Maria strisciando in avanti con il sedere. Posò la tazzina del servizio delle grandi occasioni sul tavolino davanti. Cercò la sua mano e la strinse. Le dita sottili si cercarono in un gioco naturale «dobbiamo dirvi una cosa» cercò anche il suo sguardo «sono incinta» annunciò. Come quando arrivava la marea e si portava via tutto. L'acqua si infiltrava ovunque, la piena seppelliva e lo strascinava con sé. Dietro non rimaneva altro che il vuoto.

Mi spezzai come arbusti.

Bastardo, maledetto bastardo

Mi sorressi il cuore, il fiato venne a mancare. In bilico come in bilico erano le tegole delle case dopo i bombardamenti. Quel bilico alla quale una folata di vento bastava a buttare giù. Fu fatale. Letale. Vacillai nell'incertezza. Persi la comprensione e non riuscì a tollerare quella rivelazione. Il mio corpo si sarebbe arreso di lì a poco, lo percepì quando non rispose al mio volere. Mi congratulai con lei che mai avevo visto più felice di quella sera. Poi lo raggiunsi e gli permisi di leggere cosa mi stesse causando, come mi aveva smembrato quel dolce annuncio che dolce non lo era affatto. Quella creatura che li avrebbe legati per sempre, più di una firma, più di una promessa, più del loro amore stesso. Quella era carne, carne vera, modellata di loro, per loro, ne prendeva le fattezze dentro il suo piccolo ventre.

Non gli dissi nulla ma la mia anima iniziò ad urlare selvaggiamente, si contorse sofferente, si strinse forte i capelli per provare un dolore diverso da quello e pianse tante di quelle lacrime da prosciugarne la fonte.

«scusatemi, vado a coricarmi»

«di già?» chiese mia madre preoccupata. Nessuno mi prestò attenzione, solo Giosuè che in meticoloso silenzio attese la mia risposta

«credo... credo che... non ho digerito molto bene la cena»

«sicura? Vuoi che ti faccia preparare qualcosa?»

«no no mamma» ribattei frettolosa, scuotendo la mano «mi corico un po'.» Salì le scale il più velocemente possibile senza voltarmi e quando completai la rampa mi tappai la bocca prima che i singhiozzi potessero scappare. Iniziai a tremare, a dare adito al mio dolore. Non mi spogliai nemmeno e lanciai a peso morto il mio corpo sulla trapunta e scossa confidai le lacrime all'amico che le accoglieva, quello che ne aveva viste tante da inzupparsi, che soffocava i miei lamenti.

Poco dopo mia sorella si introdusse silenziosamente, inclinò il materasso sotto il suo peso, e mi accarezzò i capelli

«shhh» mi consolò, lo fece per tutta la notte, fino a quando gli occhi gonfi non riuscirono a resistere alle prime luci dell'alba e si rassegnarono ad un sonno tormentato.

La tua ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora