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Le voci dei miei fratelli si alternarono invigorite durante l'ennesima partita a scacchi. Mi sconcentrarono più volte dalla presa salda sul telaio e dall'ago che entrava ed usciva della scampo di lino che la signora Carmela ci omaggiò.

«a che punto sei?» mi chiese Teresa seduta di fianco

«ho terminato la prima margherita».

Senza alzare le sguardo afferrai il bicchiere sul tavolino al mio fianco e bevvi una generosa quantità di limonata che preparava mia madre come le aveva insegnato a sua volta mia nonna. Le fette di limone tagliate finemente galleggiavano sull'acqua della brocca

«domani verrà il padre di Giuseppe a parlare con nostro padre,» mi disse ad un tratto «e io non sto riuscendo a dormire» sorrise timidamente socchiudendo gli occhi. Posò le mani in grembo diventando completamente rossa in viso.

La guardai imbambolata «tu sei felice?» volevo avere la certezza dalle sue parole anche se solo la sua espressione sarebbe bastata

«mai così tanto nella mia vita» disse di getto, senza pensare nemmeno per un attimo a cosa dirmi

«e io lo sono con te», le asciugai i rivoli di lacrime annidarsi agli angoli degli occhi. La strinsi forte a me poggiando la guancia sulla sua spalla.

«adesso non potrai farti vedere molto in giro»

«sì lo so, ma non vedo l'ora di andare via»

«farete a fuitina?» domandai allarmata

«forse»

«e perché?»

«perché non vuole aspettare Anna»

Appresi frastornata quelle parole e un nodo di sconfortò mi addolorò lo stomaco. Non ero ancora preparata a vedere mia sorella andare via da quella casa, ad assumere la figura di sorella maggiore al posto suo. Ritirai le lacrime prossime a nascere e tergiversai su tutte le cose che avremmo dovuto fare prima che se ne andasse, prima che anche lei avrebbe coronato il sogno di creare una famiglia

«Anna, passa a prendere il pane al forno. Dicci che poi vado io» mi ordinò mio padre irrompendo alle mie spalle. Teresa riprese a ricamare con un ghigno a farle compagnia. Chissà i pensieri che le affollarono la testa, la voglia di dimostrare i valori che i nostri genitori ci avevano insegnato. Le doti che aveva e alla voglia di prendersi cura del suo futuro marito.

«va bene, ora vado» le posai un bacio sulla guancia e sgattaiolai fuori dalla porta.

«Anna» mi girai sul posto stringendo il sacchetto tra le braccia

«Ciao» sorrisi attendendo che si avvicinasse

«avevo sentito che eri ritornata» sistemò la gamba reggendo il peso della Vespa

«sì, da una settimana, poco più,» scrollai le spalle e mi avvicinai di qualche passo «tu come stai?»

«bene. Adesso lavoro con il resto dell'Italia» si pavoneggiò

«sempre con la legna?»

«sempre con la legna» ripeté annuendo. Ascoltai le parole di Sebastiano attentamente. Ci conoscevamo tutti in paese e lui aveva iniziato a lavorare in tenera età con il padre. Gli affari gli andavano bene ed era una famiglia rispettabile, ma non andavano d'accordo con mio padre per via di alcuni screzi sui prezzi del materiale e quindi sarebbe stato meglio non farci vedere in pubblico assieme cosa che, per entrambi, fu fuori questione

«Giosuè» salutò guardando oltre le mie spalle.

«Anna, vena ca» tuonò dalla vettura, tirai un sorriso di scuse a Sebi che guardò la scena «arrivo subito.»

La tua ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora