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«Su, alzatevi caruse» la signora Carmela seguita da mia madre ci svegliò aprendo le imposte e permettendo alla brezza mattutina di solleticarmi la pelle. Ci scostò le lenzuola e dopo qualche lamento mi sedetti stirando le braccia

«ma allora è vero che Maria è incinta?»

«certo tesoro, ancora non si sa di quanto ma probabilmente in primavera avremmo una creatura in giro per casa» affermò esaustiva. Storpiai la bocca addolorata ed emisi un verso sordo nascermi dal profondo

«che c'hai ora?» mi chiese ad un tratto preoccupata 

«mi fa male la testa» pressai le tempi tra le dita esili strisciando le parole tra i denti

«febbre nun n'ave"» disse l'altra accostando le guancia sulla mia fronte 

«avrò dormito male.»

Prese le misure su tutto il corpo. Quel metro seguì ogni linea e protuberanza. Era una donna di mestiere tramandato di generazione in generazioni tra le donne della famiglia

«signora Carmela, gliela posso fare una domanda?» le chiesi assorta 

«cetto, chiedi, chiedi»

«perché non vi siete sposata?» domandai 

«ma Anna» mi ammonì subito mia madre «ti sembrano domande da fare?» arricciò le sopracciglia trafiggendomi con lo sguardo

«la lasci stare signora,  curiosa è» completai il giro su me stessa mentre conficcò gli spilli sul bordo della gonna «la verità...» iniziò tirandosi su «...e che mio patri non fu per nulla contento quando ci dissi di chi mi ero innamorata» mia madre con sguardo impassibile fece finta di non prestare attenzione, mentre noi altre attendavamo trepidanti «picciò ficimu a fuitina» non ci guardò mai direttamente negli occhi ma preferì ricercare le immagini di quella storia rifugiati nella memoria 

«era felice?» le chiesi appoggiata al davanzale della finestra 

«molto» le si crearono delle pagliette luminose negli occhi e un sorrise sincero creò l'armoniosa rappresentazione di chi aveva amato. Completò anche l'orlo di Teresa che attese ligia 

«poi lo chiamarono per prestare servizio militare» la voce le si incrinò. Il tono cambiò direzione, si offuscò come si offuscò il suo sguardo. Il peso di quelle parole gravarono sulle sue spalle già basse e spesse. Aspettai con il fiato sospeso, aspettai che quel suono prendesse un sapore diverso, che quella linea sottile sconfinasse in qualcosa di bello 

«ma non tornò più.»

Me ne pentì amaramente. Quella mia sfrontata lingua aveva avuto di nuovo il potere di guastare qualcosa, di creare vuoti disumani, morsi di tristezza, ammaccature di ricordi volutamente accantonati. Riuscivo a riportare a galla la sofferenza in chi non le aveva dato il permesso di scavarsi un'uscita.

«mi dispiace signora Carmela, mi dispiace assai» mi affrettai ad accarezzarle la schiena mentre lei tirò un sorriso poco convincente 

«è passato tanto tempo ormai» provò a ridicolizzare quella sensazione. 

Mia madre rimase a bocca aperta, poi vidi il respiro rimettersi in circolo. Sogghignò una risata trattenuta e continuò 

«questa cosa ve la devo raccontare» sollevò il capo e perlustrò le nostre facce «quando mio padre mi disse di no lo minaccia O me lo fai sposare o mi faccio suora ci dissi. E così ho fatto. Una settimana mi rinchiudì ca, nel convento delle suore di clausura.»

Mi ci avvinai mossa dalla piega che aveva preso quella storia

«e com'è stato?» feci scivolare le bretelle della camicia da notte lungo le braccia lasciandola arrotolare sulle caviglie

La tua ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora