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Giosuè

«dove vai dopo?» mi domandò nel momento in cui posò le posate sul piatto con lo sfruscio del tovagliolo sulle labbra contornate di rosso

«raggiungo gli altri in piazza, come sempre», si alzò e mi fece capire di volersi sedere sulle mie gambe

«tutto bene?» attese che le rispondessi passando il braccio intorno al collo. Sviai il suo sguardo ammiccante e lo soffermai sul suo ventre. Il profumo costoso mi trapassò le narici che allargai visibilmente

«sì, sono solo un po' stanco» finì il bicchiere di vino e l'aiutai a rialzarsi, le sorrisi e posai e le labbra il dorso della mano dove il diamante e la fede nuziale spiccarono tra le piccole dita. Ero di fretta e non mi impegnai a non farglielo capire

«domani andiamo a vedere la culla?»

Infilai tutto nelle tasche dei pantaloni e controllai i capelli allo specchio dell'entrata, quello con la cornice dorata. Mi guardai e per un attimo non mi riconobbi. In quell'immagini ci vidi me molti anni prima quando la voglia di afferrare la vita tra le mani e il riscatto della stessa mi scorrevano tra le vene. Mi ci vidi più giovane, più presuntuoso, più vivo.

«allora?»

«mmmh?» mi girai di scatto nella sua direzione, sorpreso

«hai capito cosa ti ho chiesto?»

«no,» sputai colto in flagrante «avevo la testa su alcuni problemi di lavoro» tirai un sorriso finto allungando le spalle

«domani dicevo, andiamo a vedere la culla?»

«certo, certo amore» le dissi falsamente andandole incontro.

Amore mio, Anna lo diceva con un altro sapore.

«non aspettarmi sveglia»

«e tu non fare tardi».

Chiusi la porta alle mie spalle e saltellai sul vialetto fino all'auto. Un senso di leggerezza mi persuase. Un ultimo sguardo alla casa alle mie spalle e la voglia di vederla accelerò i movimenti. Sorrisi spontaneo più volte chiuso in macchina, le luci dei lampioni illuminarono a piccole dosi il mio viso rilassato, convinto, spensierato che di spensieratezza non ne aveva il diritto. Sarei riuscito ad annichilire la mia vita se avessi continuato in quel modo. Con la testa tra le nuvole e le spalle tese raggiunsi la piazza principale. Salutai quei ragazzotti con la quale ero cresciuto e presi posto al fianco di Vito che osservava davanti a sé un gruppo di ragazze

«Giuseppe ha chiesto la mano di mia sorella Teresa» mi disse assorto

«è un bravo ragazzo, vostro padre ne sarà contento»

«e lo è, ma a me...» si tirò su i pantaloni apprestandosi ad accendere una sigaretta «devo lasciare andare mia sorella, deve iniziare una nuova vita fuori da casa», un luccichio impercettibile balenò nel suo sguardo

«lo so, è difficile» gli strofinai il palmo sulla schiena come se potesse alleviare la tristezza nella sua voce

«e tu che ne sai?» mi guardò accigliato «siete tutti maschi e tu sei il più grande»

«non credere che se non vivi le cose allora non le puoi capire Vito» mi sedetti sul muretto «e poi io a casa tua ci sono cresciuto»

Lo imitai nei gesti e attesi che si sedette anche lui «poi toccherà a Anna» non so per certo perché glielo dissi, forse volevo aggrapparmi a qualcosa, qualunque risposta avesse dato mi sarebbe servita in futuro per accettare la realtà distante da ciò che stavamo vivendo «Anna? No Anna non ancora. Con lei sarà un lutto» indurì la mascella e mescolò i sentimenti tra loro. Quel senso di padronanza lo abbandonò, le spalle gravarono leggermente e la rassegnazione fece capolino. Bastò quella risposta per terminare la nostra conversazione. Anna potrà stata ancora un po' con me, pensai avidamente.

La tua ombraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora