14. Documento classificato

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 «Davvero non sai perché Nick vuole vedermi?». Erano quasi arrivati alla sala riunioni, e Natasha non gli aveva ancora detto la ragione di quella convocazione.

La Vedova Nera si strinse nelle spalle. «Se vuoi entro con te e ti tengo la mano».

Steve non era convinto di poterle credere, ma sbuffò e poi sorrise comunque. «Grazie, ma credo di potercela fare».

«Tu sì, ma io mi preoccupo per la mia figlioccia».

Steve si appoggiò una mano sul ventre, pervaso da un senso d'affetto che era cresciuto ogni giorno di più. «Finché è con me, è al sicuro».

«Non mi hai ancora detto perché avete deciso di chiamarla Thea».

«L'ha scelto Bucky». Steve sentì la commozione stringergli la gola. «Credo...». Sbuffò, sentendosi sin troppo sentimentale. «Credo che si sia reso conto di poter ancora credere in Dio». Quando rialzò lo sguardo su di lei, si accorse che Natasha aveva gli occhi umidi e si sentì il viso andare a fuoco. Per un momento, lui e la donna si guardarono senza dire nulla; c'era una nota dolce nell'odore dell'Alpha che gli fece pensare che lei stesse per abbracciarlo.

Natasha, però, distolse lo sguardo, e ricominciò a camminare.

Steve si accorse del gesto rapido con cui si asciugò un occhio e si spostò i capelli in un tentativo di dissimulazione che avrebbe convinto chiunque altro.

«È bello che James si stia riprendendo un po' della sua vita».

«Sì, lo è davvero».

Natasha si volse di nuovo verso di lui, e non c'era più nessuna traccia di commozione sul suo viso. «Ci vorrà tempo, Steve. Tu non arrenderti con lui».

«Non lo farò».

Ormai erano davanti alla porta della sala riunioni, e Natasha si fermo di nuovo.

«Cos'è la storia che, dopo il parto, volete tornare a vivere nell'appartamento dove stavate prima?».

Fu il turno di Steve di stringersi nelle spalle. «Vogliamo che Thea viva in una casa normale, vicino a un parco in cui andare a giocare. Non in una specie di... fortezza super tecnologica».

«Siete entrambi Avengers. Potreste essere richiamati per una missione in qualsiasi momento, come fareste con la baby sitter? Qui ci sarebbero sempre Pepper o Happy. Sarebbe al sicuro».

Steve scrollò la testa. «Che non sono baby sitter», le fece notare. «Ma hai ragione. Ci penseremo».

La donna gli strizzò l'occhio. «Ti lascio a Nick. Buona fortuna».

«Ne avrò bisogno?», le chiese Steve, quasi lei gli avesse confermato di sapere di cosa avrebbero parlato.

«Non credo». Natasha gli diede le spalle e lo salutò con un cenno, l'attimo successivo Steve bussò alla porta della stanza che Fury stava usando come ufficio.

«Avanti, Capitano. Accomodati». Nick Fury era seduto al solito posto, con un fascicolo davanti a sé e l'aria meno arcigna di quanto si sarebbe aspettato.

Steve avanzò fino al tavolo e, per un momento, valutò di rimanere in piedi, ma la schiena gli dava il tormento. Spostò la sedia e si accomodò.

«Ormai ci siamo». L'occhiata di Nick al suo pancione, che metteva troppa distanza tra lui e il tavolo, gli scivolò addosso. «Quanto manca al lieto evento?».

«Una settimana, forse dieci giorni. Il dottor Banner dice che potrebbe volerci anche di più, e che non dobbiamo avere fretta».

Fury annuì e spinse verso di lui l'incartamento. Steve l'aprì. Sopra a pochi altri fogli c'era la foto di un ragazzo, capelli scuri e occhi nocciola, un viso pulito che non dimostrava più di vent'anni. «Ethan Morris». Fury appoggiò le spalle allo schienale della sedia e intrecciò le dita sopra il tavolo. «Era un Omega senza famiglia. Nessun legame, nessuna dimora. Viveva per strada ed è morto assiderato su una panchina, lo scorso inverno».

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