1. La Piuma

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Presente


In vista dell'imminente turno di notte al Presbyterian Hospital, il dottor Thomas Juan Morales, fra le quattro mura scrostate di un piccolo supermercato del Bronx, selezionava qualcosa di salutare da poter sgranocchiare per strada. Reduce da un fine settimana in Illinois, una volta atterrato al John F. Kennedy International Airport il cardiochirurgo si era fatto accompagnare subito nel quartiere di Kingsbridge, dove aveva girovagato per ore alla folle ricerca di ciò che sarebbe presto diventato la sua ossessione.
Una busta di carote pronte all'uso dal banco frigo, qualche mela rossa e...

«Scusami, signorina, potresti prendere quel pacco di biscotti da lassù? Tu sei molto alta, mentre io sono uno gnomo in confronto a te!» squittì, ridacchiando, un'anziana donna dai capelli argentei tirati in un toupet e un bastone da passeggio stretto nel palmo di una mano.

«Ma certo» rispose una ragazza dalla voce sottile.

Thomas Morales spostò il proprio sguardo, incuriosito dalla scena che si stava compiendo giusto a un paio di metri di distanza, e vide due gambe lunghe e sottili fasciate da un paio di jeans scuri flettersi per arrivare al ripiano più alto dello scaffale. Risalendo con lo sguardo non poté fare a meno di notare il sedere piccolo e rotondo della ragazza, contratto per lo sforzo dovuto all'essersi sollevata in punta di piedi. Quasi a sfiorarlo, una cascata di onde castane illuminate da filamenti ramati ricadeva morbida ad ammantarle l'esile schiena.

«Grazie, davvero, sei una cara ragazza.»

«Si figuri, per così poco.»

Mentre Thomas fingeva di selezionare le mele migliori, la ragazza si voltò e lui ne rimase folgorato in positivo tanto quanto in negativo. I suoi occhi erano grandi e le iridi del colore del mare cristallino; le labbra rosee e setose; il viso, ovale e leggermente scarno, era tinteggiato da una generosa spruzzata di efelidi su tutta la superficie. Pensò che fosse di una bellezza rara. Ma ciò che aveva notato prima ancora dei tratti somatici, era stata l'espressione spenta e malinconica. La ragazza gli passò davanti con il cestino appeso all'avambraccio e lui non si trattenne dallo spiare la sua spesa: yogurt bianco, cereali, semi di chia, gallette di riso, ceci in scatola, verdura e frutta fresca di stagione.

«Vegetariana» sussurrò tra i denti, con fare sornione.

Dall'altra parte, Caroline Anderson non si era minimamente accorta di quei boschi incontaminati che l'avevano esaminata per diversi secondi. Era una ragazza riservata, che quasi mai si guardava attorno, e poi, quella sera, era particolarmente di fretta; quella che stava per giungere al termine era stata una giornata estenuante e non vedeva l'ora di tornare a casa, cenare in fretta, fare un bagno caldo e infilarsi sotto al piumone. Si precipitò verso l'ultima, obbligatoria tappa, dove una signora riccioluta sulla quarantina passò alla cassa ogni singolo prodotto, che Caroline afferrava al volo e sistemava in un sacchetto.

Thomas, di cui Caroline continuava a ignorare l'esistenza, attendeva con impazienza il proprio turno in fila subito dopo lei. Incapace di scollare lo sguardo dalla bellezza di quella ragazza, la vide...
«Sono trentasette dollari e ottanta» gracchiò la cassiera, masticando rumorosamente un chewing-gum.
Caroline le passò la carta di credito, che però quella sera non aveva nessuna intenzione di funzionare, peggiorando il suo malumore.

«Non va.»

«Potrebbe riprovare?»

La cassiera provò e riprovò ma niente, la carta proprio non voleva saperne di effettuare il pagamento. Il rumore del battito accelerato del proprio cuore, unito allo sbuffare scocciato della donna alla cassa, venne incrementato da un persistente ticchettio. Nel tentativo di intercettare la fonte di quel suono, Caroline s'imbatté in una Timberland color camoscio, che picchiettava a ritmo sul pavimento. Reo di quel tic nervoso, un ragazzo in fila alla cassa dopo di lei, impaziente di pagare la spesa e andarsene. Le nocche di una mano poggiate sul nastro insieme alla spesa, l'altro pugno chiuso sul fianco, il Thomas sfuggiva allo sguardo contrariato di Caroline, fissando le proprie mele rosse. La ragazza, impettita, fece scoccare la lingua sotto al palato e, tirato fuori il portafoglio dalla borsa, pagò in contanti, afferrò il sacchetto della spesa e si allontanò come una furia da quel posto divenuto asfissiante.

Una volta attraversata la porta scorrevole che la separava dall'esterno, una fortissima folata di vento gelido le scompigliò i lunghi capelli. Dopo aver espirato con rabbia dal naso, cercò di risistemarli alla meglio con l'aiuto della mano libera, riprendendo a camminare. Pochi istanti dopo lei, anche Thomas Morales uscì di corsa dal supermercato. Chissà quale direzione aveva preso quella ragazza. E mentre scrutava la gente attorno a sé, qualcosa quasi lo accecò; una raffica di vento aveva fatto arrivare qualcosa a urtargli la palpebra inferiore sinistra. Thomas per poco non si schiaffeggiò, data la foga con cui aveva afferrato l'oggetto, così da impedirgli di volare via ancora.

Scoprì di avere fra le dita una piuma. La piuma. Minuscola e dai colori cangianti, adornata da un altrettanto piccolo gancio aureo: un orecchino. Spalancò gli occhi. Era la sua, l'aveva vista fare capolino fra le ciocche dei suoi capelli. Il cuore in gola, Thomas cominciò a correre controvento, seguendo la direzione dalla quale quella piumetta colorata era giunta, cercando di intercettare la ragazza.

Ed eccola, quella chioma castana e morbida resa ingestibile dal vento, e quel sedere...

«Ehi!» la richiamò, senza il benché minimo affanno nonostante la corsa, dandole un buffetto sulla spalla.

La ragazza si voltò accigliata, riconoscendo, seppur vagamente, l'uomo, e il vento smise di molestarle i capelli placandosi di colpo. «Sì?»

«È per caso tuo?» Thomas protese l'orecchino verso la fanciulla, che subito si commosse.

«Santo cielo! G-grazie...» balbettò, la voce rotta dall'emozione.

Fece per afferrare l'oggetto che, come a voler prendersi beffe di loro, sfumò dalle dita di entrambi, adagiandosi sul marciapiede. A Caroline sfuggì un gemito di disappunto, poi si chinò per recuperare l'amatissima piuma di colibrì, ma un colpo netto seguito da un acuto dolore al cranio la rese intontita per qualche istante. Thomas si era contemporaneamente apprestato a raccogliere il gioiello e si erano dati una testata reciproca. La scena si sarebbe addirittura ripetuta, e quella volta Caroline si sarebbe forse fratturata il naso se non avessero entrambi frenato in tempo i movimenti.

Lei imprecò sottovoce. «Senti, lascia stare, faccio io, okay?»

Alla fine, il palmo di una mano premuta sulla fronte pulsante, la giovane donna recuperò l'oggetto.

«Scusa, non era mia intenzione farti male.»

«Non importa. Grazie, comunque» e se ne andò, senza degnarlo di un sorriso e neppure di un piccolo, insignificante sguardo.

Caroline si tolse l'orecchino dal quale non si separava mai da tredici anni e lo adagiò su una mensola della trave fiancheggiante l'alcova a soppalco, com'era solita fare ogni sera, per poi sprofondare supina nel morbido materasso e lasciarsi coccolare dal profumo vanigliato delle lenzuola.
Prima di cadere in un sonno profondo rivisse la scena di poco tempo prima. E se quel ragazzo non avesse recuperato il suo gioiello prezioso e, quindi, lo avesse perduto per sempre, che ne sarebbe stato di lei? Scosse il capo per scacciare la negatività. Per lei quella piuma rappresentava qualcosa di vitale importanza, come l'ossigeno. Se l'era addirittura fatta tatuare sulla pelle, appena sotto la clavicola.

Charles, suo padre, le aveva raccontato che per la popolazione Maya il colibrì rappresentava il simbolo della forza, del coraggio e della perseveranza. Caroline sapeva benissimo che quella piuma era solamente ciò che appariva: una piuma. Ma le piaceva credere che elargisse in lei un qualche potere mistico. Perché, quella dolce fanciulla, di forza e coraggio e perseveranza ne aveva bisogno ogni giorno per sopravvivere al tormento.

My Heart Will Go OnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora