3. La mensa

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Puntuale come mai accadeva, Caroline Anderson sopraggiunse con il fiatone sul luogo dell'appuntamento, dove trovò ad attenderla una Shan Withmoore con le fiamme negli occhi a mandorla e le braccia incrociate sotto ai piccoli seni.

Figlia di immigrati cinesi trasferitisi nella Grande Mela quando lei era nell'utero della madre e i due fratelli − gemelli omozigoti − ancora molto piccoli, Shan era l'unica della famiglia a essere al cento per cento americana con puri lineamenti e bellezza cinesi, dalla carnagione lunare alle iridi di ossidiana che quasi si fondevano con le pupille, dal naso piccolo e appena schiacciato alle labbra a cuoricino. Spesso ci si domandava come facessero quelle due a essere così compatibili: Shan era una ragazza dolcissima ma molto pungente nella sua schiettezza, Caroline, invece, si contraddistingueva per pacatezza e pazienza infinita.

Shan, che quella mattina aveva raccolto i lunghi capelli corvini in uno chignon tenuto fermo da diversi bastoncini, le ripeteva spesso: "Mostra la tua bontà là dove non te ne potrai mai pentire. In opere di bene, ad esempio. Ma, nel quotidiano, impara a essere cazzuta, altrimenti ti farai solamente calpestare".

«Non... non sono... in ritardo» si difese Caroline, annaspando e con i palmi delle mani spalancati a farle da scudo.

Shan sbuffò. «Certo che lo sei, ti avevo chiesto di venire in anticipo per mostrarti il posto. Adesso non c'è più tempo, vieni, veloce!»

«Non ci credo, mi rimproveri anche l'unica volta nella mia vita in cui sono riuscita ad arrivare puntuale?»

La ragazza dalla bellezza orientale e dal carattere irascibile afferrò il polso di Caroline, per poi trascinarla nel cuore di un'orda di persone, ordinatamente imboccate in una doppia fila. Mentre sorpassavano tutti quanti come furie, la nuova arrivata esaminò alcuni soggetti in attesa di un pasto caldo, scoprendo non ci fossero solo clochard, come invece si aspettava, ma anche gente abbigliata con vesti decenti o formali.

Shan salutava tutti urlando qualche "Buongiorno" di tanto in tanto, ricevendo in cambio numerosi sorrisi. Una volta dentro, Caroline analizzò l'ambiente: si trattava di un'unica, mastodontica stanza, vuota solo al centro per permettere alle persone di sostare in fila.

Le due amiche raggiunsero in fretta il retro di un lungo bancone dove già si trovavano altre donne con indosso grembiule e cuffietta. Dovevano essere tre o quattro, Caroline non ebbe il tempo di contarle.

«Lega i capelli e metti questi.» Shan le passò un grembiulino bianco, una cuffietta e un paio di guanti monouso.

Caroline raccolse i lunghi capelli in una crocchia disordinata con non poche difficoltà, dovute perlopiù all'emozione e alla timidezza. Poi si allacciò il grembiule dietro la schiena, avvolse i capelli nella cuffia e indossò i guanti. «Cosa devo fare?»

«Per oggi sarai il mio braccio destro.» Indicando la posizione di ogni singolo oggetto, Shan le mostrò come comporre un vassoio, con piatti e posate, da passarle per il riempimento.

Caroline annuì più di un paio di volte e cominciò a sistemare il primo vassoio, mentre Shan annullò in due falcate la distanza che la separava dal muro alle loro spalle, infilò la testa in una nicchia scavata nel muro e urlò qualcosa di incomprensibile a qualcuno. Dopo pochi istanti alcuni uomini e donne, imbracciando pentoloni di cibo fumante, sfilarono attraverso la porta saloon che collegava la cucina alla sala.

«Bene, iniziamo!» annunciò Shan, finalmente sorridente.

«Cosa c'è oggi?» domandò il primo della loro fila.

My Heart Will Go OnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora