2. Istinto primordiale

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Presente

«Odio questo appartamento» borbottò Sasha Pavlova, stiracchiandosi fra le morbide lenzuola color zabaione.

Simon esplose in una risata gutturale, ancora intontito dal risveglio avvenuto poc'anzi. «Devi proprio dirlo ogni volta?»

«Sì, finché non ti trasferirai in una casa con delle finestre di normali dimensioni e soprattutto fornite di tende scure.»

«Cosa farei senza di te?»

La ragazza strizzò un occhio. «Me lo domando spesso anch'io.»

Simon Weller abitava a Manhattan, nell'attico di un grattacielo di trentuno piani − basso, se confrontato alla media − le cui pareti erano quasi completamente fatte di vetro, al fine di garantire una vista spettacolare del fiume Hudson sul quale si affacciava. Qualsiasi stanza possedeva almeno una parete in vetro, perfino i bagni e le camere da letto, motivo per cui ogni mattina il giovane avvocato difensore giovava della sveglia naturale che la luce del giorno offriva. Quella mattina in particolare c'era da rimanerne abbagliati: il cielo, ricoperto da uno spesso strato di nuvole lattee dalle quali cadeva copiosa della soffice neve, deliziava l'interno della camera da letto padronale del proprio meraviglioso chiarore.

Simon era appassionato di architettura e design; era stato lui a progettare quell'appartamento, quando ancora era uno studente a Harvard, costruito sulla vetta di un grattacielo appartenente a suo padre e suo nonno − oltre che a lui stesso.

Oziò per qualche altro minuto in posizione supina, tamburellando con le nocche sull'ampia testiera del letto, imbottita di spugna e rivestita in giacca di lino color moka, poi si alzò, calpestando a piedi nudi l'enorme tappeto in juta − commissionato a degli artigiani indiani durante un viaggio in Oriente − sottostante il letto a due piazze, sino a raggiungere le pantofole, sparpagliate sul parquet in noce.
Sasha si godeva lo spettacolo di Simon Weller che, nudo, sfilava davanti ai propri occhi di lapislazzuli, con un fascio di luce bianca a baciare l'inchiostro nero del tatuaggio tribale che gli si espandeva su tutta la possente spalla sinistra e allungava il percorso in direzione del collo, assottigliandosi fin dietro l'orecchio. L'uomo afferrò la vestaglia da camera abbandonata sul bracciolo della sedia posta accanto al comodino e se la infilò con disinvoltura.
Nonostante fosse ormai abituata a quella vista paradisiaca, Sasha continuava a trovarlo eccitante.

Simon spalancò la vetrata che collegava la camera da letto alla veranda di duecentocinquanta metri quadri che circondava gran parte dell'attico, passeggiò per qualche metro sul pavimento in decking e si accese una Marlboro, poggiando poi i gomiti sul parapetto. Percorse il fiume Hudson e le sue fronde con lo sguardo, che poi spostò verso il traffico di Manhattan delle undici di un'innevata domenica mattina.
Quando, per nulla infreddolito, rientrò in camera, Sasha si trovava ancora a letto, con le lenzuola a censurarle parte delle curve, fatte perlopiù di protesi ma comunque mozzafiato. Sasha era la classica ragazza russa dai capelli ramati chiari, la carnagione nivea e il fisico snello. I due si conoscevano da molti anni, giacché lei era l'assistente di un chirurgo plastico che Simon conosceva, suo malgrado, piuttosto bene.

Sasha era la sua migliore amica e confidente. I due passavano molte serate in compagnia l'uno dell'altra, soprattutto in casa di lui. Cenavano, parlottavano, bevevano vino e puntualmente finivano a letto insieme. Per quanto ci avessero provato, erano ormai consci che non ci sarebbe mai stato null'altro che potesse andare oltre al sesso e all'amicizia, e a loro stava più che bene così.

Nessuno dei due era impegnato con qualcuno, al momento. Simon in particolare non ne possedeva il tempo materiale. Era assuefatto dal suo lavoro e l'impegno nel sociale gli risucchiava il resto delle energie. Innamorarsi e lasciarsi coinvolgere in una relazione stabile significava doversi dedicare a quella persona, non a tempo perso, non solo per sfogare gli istinti primordiali come invece poteva permettersi di fare con Sasha, così come con qualsiasi altra donna accondiscendente.

Certo, però, era il fatto che lui conoscesse bene l'amore, che riteneva un sentimento bellissimo; in trent'anni di vita era stato innamorato qualche volta e in cuor suo gli mancavano le emozioni e le sensazioni contrastanti che quel sentimento gli faceva provare. Gli sembravano un ricordo lontano, di una gioventù ormai perduta. Chissà, magari un giorno sarebbe arrivata la donna meravigliosa che attendeva, una persona dal cuore immenso in grado di comprendere quanto per lui fosse fondamentale adempiere ai propri doveri, innanzitutto.

«Facciamo la doccia insieme?» propose Sasha, affacciata sull'uscio della porta che separava il bagno dalla camera da letto, mentre Simon si era privato della vestaglia e si apprestava a entrare nell'immenso box doccia ultra accessoriato, colorato dalle luci a led che danzavano armoniose riflettendo su ogni superficie lucida.

Nell'attesa che la donna perfetta piombasse nella propria vita, Simon non rimaneva certo fermo a guardare.

My Heart Will Go OnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora