Audrey

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27 luglio 1967

Non l'avrei mai detto, ma penso che potrei anche abituarmi a stare qui. Le persone sono così gentili, nessuno mi chiede nulla sul mio passato ma tutti sono pronti ad aiutare. I lavori a Wanglenook vanno a gonfie vele e io inizio ad apprezzare la bellezza di questa casa.

Ophelia è gentilissima, mi sta facendo conoscere molte persone e fa di tutto purché io mi senta a casa. Oggi ho fatto molte nuove conoscenze, alla festa di compleanno di Ophelia. Compie trent'anni e ha invitato mezzo mondo a festeggiare. Ha passato tutta la festa a dire quanto fosse vecchia, nonostante non lo sia per niente. Mi ha presentato a tutti, anche se dopo nemmeno due secondi già non ricordavo più i nomi, quindi il fare "molte nuove conoscenze" consiste nell'aver visto molte facce diverse e poter sorridere per strada a chiunque con un volto familiare, anche senza ricordarsi il nome.

In certi momenti restavamo sole, a parlare, io e lei, ed erano gli unici momenti in cui ero a mio agio. Solo che poi arrivava qualcuno a farle gli auguri o i complimenti per la festa, e poi si mettevano a parlare di tutt'altro. Arrivava sempre più di una persona alla volta e dopo aver sopportato i primi tre gruppetti con un sorriso di circostanza, sono sgattaiolata via non appena Ophelia si è concentrata tanto sulla conversazione da non notare la mia assenza.

Mi sono seduta in cima alle scale, così da tenere tutti sott'occhio senza essere notata. Rimasi là il silenzio e da sola per qualche minuto, poi il signor Henning ha interrotto la mia solitudine. Mi è arrivato alle spalle, e sono pronta a scommettere che sia rimasto a guardarmi per un po', prima di avvicinarsi. Mi ha colto di sorpresa, appoggiandomi una mano sulla spalla. Mi sono voltata di scatto, sussultando.

Lui ha sorriso e si è seduto accanto a me, sulle scale. "Non ti godi la festa, eh?" mi ha chiesto. "Non conosco nessuno..." ho risposto, quasi giustificandomi. "Comunque da quassù è molto meglio, sai?" ha detto.

Non gli ho risposto, non ho accennato nemmeno un sorriso. Mi sono limitata a far vagare gli occhi per la stanza, guardando prima la situazione generale e soffermandomi poi sulle singole persone. Mi sono concentrata sul memorizzare i particolari, come faccio sempre quando qualcosa non mi torna o mi infastidisce. Una donna sulla cinquantina, bassa e minuta, si era avvicinata ad Ophelia per dirle qualcosa, sfiorandole il braccio in modo affettuoso. Ophelia sorrideva, rispondendo entusiasta alle parole della donna. Poco più in là una donna più giovane sgridava due ragazzini, che correndo avevano urtato Amelia, l'anziana nonna di Ophelia, la donna più anziana del paese, nonché la più rispettata, che ora se ne stava seduta su una sedia lì vicino con una mano sulla schiena, ma sorridendo e cercando di rassicurare i due bambini e la donna che stava bene e non c'era nessun problema. Spostai lo sguardo dalla parte opposta della stanza, su una ragazza alta e allampanata. Si sentiva probabilmente tagliata fuori e a disagio, come me.

Questo mi fece pensare al fatto che io fossi da più di cinque minuti seduta sulle scale, accanto ad un uomo di cui non conoscevo nemmeno il nome. Mi sono accorta di come il disagio si fosse trasformato in qualcos'altro. Io e lo sconosciuto ce ne stavamo su quelle scale, in silenzio, osservando la sala poco sotto di noi. Gli ho lanciato un'occhiata di sfuggita, non sembrava alla ricerca di uno spunto per la conversazione, non mi guardava insistentemente per cercare di attirare l'attenzione, in realtà non mi guardava affatto; osservava le persone e il loro modo di fare. Come facevo io fino a qualche secondo prima.

Avevo capito di essere accanto al pastore, Nathaniel Henning. Ophelia mi aveva parlato così a lungo di lui che non potevo non riconoscerlo. Sono molto legati, lui e Ophelia. Lui è stato per lei come un fratello maggiore. Mi pare di sentirla... "Oh, Nathaniel... Se avessi potuto scegliere di averlo come fratello, non avrei avuto dubbi!"

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