Blood.

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- Come stavo dicendo la funzione x...- blaterava, blaterava e continuava a blaterare.

Era strano ma quel brusio provocato dal professore mi stava irritando. Non era mai successo, io ero un alunno intelligente, mi piaceva studiare, ascoltare le lezioni dei professori ma quella mattina le cose stavano andando molto male. Avevo le braccia distese sul banco e le mani chiuse a pugno. Stringevo la presa fino a far diventare bianche le nocche. Le scottature si facevano sentire molto, ero totalmente distratto a causa del dolore inoltre vi era anche Louis. Louis, quel nome suonava come una melodia diabolica se pronunciato in un sussurro. Era intento ad osservare il professore che scarabocchiava delle frecce alla lavagna ma sapevo che con la coda dell'occhio mi stava fissando, perché era quello che stavo facendo pure io. Sembrò accorgersi di questo e si stiracchiò leggermente allungando la gamba sinistra avanti e piegando la destra dopodiché formò un pugno e lo poggiò sotto il mento per sorreggersi mentre il braccio sinistro era disteso, di fianco al mio. Un ghigno apparve sulla sua faccia mentre continuava ad osservare sia me che il vecchio prof. Io distolsi gli occhi da lui aggiustando i capelli disordinati che mi ritrovavo. Li odiavo. Odiavo tutto di me. Odiavo il fatto di essere debole. Odiavo il fatto di non ribellarmi mai. Odiavo il fatto di farmi mettere i piedi in testa. Odiavo il fatto di non stare attento quella mattina. Odiavo il fatto che gli occhi di Louis erano su di me. Odiavo il fatto che non conoscevo Louis eppure mi faceva paura. Odiavo il fatto che Louis era presente nella mia mente. Odiavo il fatto di stare ad elencare cazzate piuttosto che stare attento alla spiegazione. Odiavo il fatto di odiarmi. Mi alzai all'improvviso facendo strusciare la sedia dietro di me. Tutti gli sguardi si posarono sul sottoscritto e il professore inarcò un sopracciglio verso la mia direzione.

- D-Devo andare in bagno. - mi giustificai con tono imbarazzato per via della scenata.

Abbassai lo sguardo in attesa del consenso del professore.

- Styles sto spiegando...è urgente? - chiese sospirando con la mano ancora attaccata alla lavagna.

Avevo bisogno di uscire. Dovevo calmarmi da tutti questi pensieri. Cazzo perché il dolore ai tagli era improvvisamente sparito? Colpa di Louis. Pensando a lui non pensavo al dolore. Il ragazzo aveva il viso rivolto verso di me. Io ero ancora fermo.

- Va a vomitare la sua lezione prof. - annunciò improvvisamente Jake, uno dei ragazzi che si trovava in fondo alla classe.

Risate giunsero due secondi dopo la sua battuta, perfino Louis rise. Ed io? Non dissi niente. Era l'ennesima dimostrazione della mia codardia, della mia debolezza. Rivolsi di nuovo gli occhi verso il professore che accennò con la testa un consenso. Stavo per avviarmi passando davanti a Louis ma questo distese di più la sua gamba e caddi rovinosamente a terra. Altre risate, altri insulti e Louis che si divertiva come matto. Non ce la facevo più ad andare avanti così. Mi alzai e uscii fuori correndo verso i bagni. I corridoi erano vuoti. In effetti era la prima ora, non usciva quasi nessuno. Improvvisamente il bruciore delle scottature ricomparve. Era strana quella situazione. Arrivai in bagno e mi specchiai avvicinandomi per osservarmi meglio. Le occhiaie erano ben visibili e l'acne sempre presente. Sbuffai sbottonando i polsini della camicia e alzandomeli. Le bende erano già insanguinate, segno che avevo perso troppo sangue già nella prima mattinata. Tolsi le bende vedendo i graffi gonfi. Il sangue pulsava molto veloce, a momenti credetti di scoppiare. Passai l'indice sopra di essi emettendo qualche gridolino per via del bruciore; lasciai i tagli scoperti per far prendere loro un po' d'aria, si sarebbe formata più velocemente la crosta. Dopo aver fatto ciò ritornai allo specchio. Mi fissavo, guardavo il mio volto. Scheletrico. Anche i miei amici ormai avevano capito che ero anoressico, si vedeva dai commenti ostili e non facevano niente per aiutarmi. A loro andava bene che io stessi male, non avevano pena per me ero solo il loro fenomeno da baraccone. Sorrisi nervosamente prima di accasciarmi a terra. Mi sedetti con la schiena verso il muro per appoggiarmi e la testa sulle piastrelle fredde. Volevo morire. Volevo ritrovare la pace. Mi girai debolmente senza staccare la testa. A terra vidi delle schegge di vetro; alzai lo sguardo e notai che appartenevano al finestrone posto sopra al bagno. Improvvisamente mi venne voglia di infilzarmi una di quelle schegge nel petto. Allungai il braccio per afferrarla, la presi. Non era piccola ma era tagliente, poteva fare davvero male. Se mi avesse visto mia mamma, sarebbe svenuta dal terrore. Ma non mi avrebbe visto, lei non mi vedeva mai. Le importava che andassi bene a scuola, che le sorridessi ogni volta che incrociava il mio sguardo e basta. Non provava mai a chiedermi come stessi veramente, a domandarsi del perché suo figlio era diventato magro in così poco tempo, perché indossassi sempre le felpe, le camicie anche con il sole e trentacinque gradi di temperatura. Questo non accadeva mai e io ci soffrivo molto. Desideravo qualcuno che stesse con me sempre, che apprezzasse le cose che facessi, che mi comprendesse e mi aiutasse. Io non volevo tagliarmi ma quello era diventato l'unico modo per espiare il dolore che scorreva nel mio sangue. E pure ora che guardavo quella scheggia, l'unica cosa che mi passava per la testa era di schiacciarla sulle mie braccia e tagliare, tagliare. Le braccia però erano messe piuttosto male, decisi quindi di cambiare parte del corpo. Aprii delicatamente la camicia lasciandola sbottonata mentre con la scheggia sfioravo il mio addome. Era la prima volta che adoperavo tagli che non fossero sulle braccia e la cosa mi spaventava. All'inizio ero titubante ma all'improvviso calcai la presa e cominciai a percorrere con la mano il mio addome provocandomi un taglio lungo cinque centimetri. Cominciarono a scendere goccioline rosso porpora, formarono delle linee orizzontali. Quelle goccioline rappresentavano le persone che mi ignoravano, quelle che mi prendevano in giro, quelle che dicevano di volermi bene e poi mi voltavano le spalle. Era il mio dolore sotto la sua forma più concreta. Presi una benda che avevo con me nel pantalone e la bagnai con l'acqua. La riportai alla pancia tamponando il taglio. Bruciava, bruciava forte ma quello che cominciò a bruciare di più fu il mio sguardo non appena vidi chi mi stava osservando ad occhi spalancati.

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