Capitolo 10. Lo Spettro di Inbhir Nis

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La sala dell'affresco era un nome piuttosto didascalico e scontato per la stanza in cui la donna aveva condotto Kelhatyel e i suoi compagni. Il salone era ampio e arredato con gusto piuttosto retrò, tendente al tardo barocco: lungo le pareti interne erano disposti lussuosi divani e sul resto del pavimento in parquet poggiavano varie poltrone della stessa ricca foggia. I muri esterni erano intervallati da larghi finestroni che si aprivano sul parco che circondava la villa. Nel camino posto in uno degli angoli crepitava un allegro focolare; il suo scoppiettare sembrava il continuo rantolo di chi si aggrappa con ferrea insistenza alla vita, ma il freddo di cui era permeata l'abitazione era così intenso e prepotente da riuscire a sconfiggere persino la potenza del fuoco e il suo calore, appena percettibile nel gelido ambiente.

L'altisonante nome conferito a quella camera doveva essere conseguenza del soffitto, interamente affrescato in una bellissima rappresentazione di piccoli putti e di altre creature celesti che sguazzavano gioiosi in un mare di nubi bianche. In tutta quell'opulenza e regalità, soltanto un elemento stonava: l'odore di muffa. Era persistente e, sebbene Kelhatyel l'avesse percepito fin dall'ingresso, in quella stanza era ancora più forte e fastidioso. Era probabile che anche i due umani che stava accompagnando se ne fossero ormai resi conto; gli bastò un'occhiata di sottecchi a Leonardo per constatare quanto fosse a disagio: continuava a guardarsi intorno, i suoi occhi guizzavano senza sosta a destra e a sinistra, come aspettandosi un attacco da un momento all'altro.

Era comprensibile, dopotutto: da quando erano entrati in quella villa, l'atmosfera era stata strana, piuttosto tesa. I muri dell'edificio erano permeati di morte e Kelhatyel poteva vederne la decadenza e la decomposizione dovunque guardasse: l'intonaco cadeva dalle pareti, larghe chiazze di umido si disegnavano sul soffitto del corridoio e l'odore... sembrava di stare in una tomba. L'elfo spostò lo sguardo su Charlotte, ma lei non dava a vedere alcun segno di insofferenza. Non che si aspettasse qualcosa di diverso, la vampira doveva essere una maestra nel nascondere i suoi pensieri e le sue sensazioni, forse quanto lo era lui. Tra tutti, era lei quella da tenere sotto controllo; era l'incognita nell'equazione che qualcuno stava tracciando, in gran segreto.

«Vi prego, sedetevi.»

L'invito giunse da una voce roca proveniente da un lungo divano posto contro la parete in fondo alla sala, proprio a fianco del caminetto riccamente lavorato. L'uomo lì seduto era anziano e i lineamenti del volto erano ormai irriconoscibili a causa della pelle cadente e dell'intricata rete di rughe che lo ricopriva. Era evidentemente sovrappeso, la sua ampia figura occupava sul divano lo stesso spazio che avrebbe accolto due persone di taglia più usuale. A dispetto della sua mole, il completo color ametista gli calzava addosso alla perfezione, segno evidente della bravura innata del sarto di famiglia.

Cassandra fece strada attraverso le poltrone che costellavano la stanza e indicò loro un divano posto dirimpetto alla posizione dell'anziano, separato da lui solo da un basso tavolino da tè. Mentre i suoi compagni si sedevano dove indicato, Kelhatyel si spostò verso il lato della sala, alla ricerca di una posizione più defilata dove sedersi; non gli piaceva la vicinanza alle altre persone e preferiva stare sempre a distanza. Non aveva mai avuto difficoltà a trovare luoghi tranquilli, dopotutto gli elfi possedevano da sempre un'innata dote che permetteva loro di passare inosservati in qualunque contesto. Era l'unica capacità peculiare che era rimasta alla loro razza, nonché l'unica cosa che gli aveva permesso di sopravvivere in quel mondo così tanto ostile per gli esponenti della sua razza, dopo la fuga da casa.

L'elfo raggiunse una poltrona vicina a una finestra e fece per sedersi, ma la sua mossa non sfuggì all'attento occhio della padrona di casa, che si voltò rapida verso di lui e alzò il dito, indicando di nuovo il sofà dove anche i maghi e la vampira si stavano accomodando.

«No, quella è meglio lasciarla libera, credimi!» avvisò la donna, con uno strano sorriso. «Ti prego, siediti qui insieme ai tuoi amici.»

La frase sembrava una richiesta, ma il tono era quello di un'imposizione. Senza dire nulla, Kelhatyel tornò sui suoi passi e prese posizione sul divano, al fianco di Michela. Il tessuto del sofà emanava un fortissimo olezzo di muffa e l'elfo si trovò costretto ad alzare il volto verso l'alto, alla ricerca di aria pulita.

L'Attesa della SignoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora