Capitolo 7. Inseguendo Cailean Dow

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Aveva messo a disposizione dei due maghi il cordless di casa; non lo aveva mai usato prima ed era contenta, alla fine, di non aver pagato la bolletta soltanto per la connessione internet. Charlotte era rimasta affondata sul soffice divano accanto a Leonardo, che si guardava nervosamente intorno, mentre Michela era andata ad afferrare il telefono e aveva digitato con furia il numero di casa; si era infilata nell'anticamera che conduceva alla zona notte per parlare, alla ricerca di un po' di privacy, come se a qualcuno potesse interessare quello che si dicevano lei e la sua mammina! L'ultima cosa che premeva alla francese era di origliare la conversazione della tutt'altro che simpatica maga, ed era sicura che persino Leonardo avesse ben altri pensieri per la testa. Per quanto lui non si fosse mai mostrato diffidente o aggressivo come la Guelfi, la vampira non riusciva a smettere di sentirgli addosso l'olezzo della paura; non era sicura che fosse causata dalla vicinanza con un essere potenzialmente mortale per lui, ma era possibile che fosse la situazione nel complesso a porlo in quella condizione di timore costante: sembrava un vitello chiuso in gabbia in attesa di essere macellato.

«Apri mai le finestre?» chiese, dal nulla, il mago.

Si era voltato a guardarla e i loro occhi s'incrociarono per una frazione di secondo, ma lui distolse subito lo sguardo.

«Certo,» rispose Charlotte, annuendo. «Tutte le mattine. Perché non dovrei aprirle?»

Era ovvia la ragione di quella domanda, ma voleva sentirselo dire dalle tremanti labbra del maghetto.

«Beh, voi...» Leonardo incespicò, abbassando gli occhi. «Voi non potete stare al sole, quindi...»

La francese fece una risatina e allungò la mano per posargliela sulla spalla; lui sobbalzò e si scostò di qualche centimetro, ma Charlotte non ci fece caso, abituata com'era a reazioni ben più violente.

«Soltanto i vampiri più giovani non sopportano la luce del sole,» spiegò, ritraendo la mano. Non voleva metterlo troppo a disagio. «Quelli come me, invece, non finiscono in cenere se escono di giorno: ci sentiamo solo molto spossati, tanto da perdere gran parte delle nostre capacità sovrannaturali. È un po' come se tu andassi a lavorare dopo ventiquattro ore di veglia. Per questo motivo tendiamo comunque a dormire durante le ore di luce.»

Non era corretto neanche dire che loro dormivano: un cadavere ambulante non può avere bisogni fisiologici come il mangiare o il dormire. Evitò comunque di essere troppo pedante, non voleva ricoprire il povero mago di nozioni inutili sul funzionamento di un vampiro.

«Non sappiamo proprio nulla su di voi,» constatò lui, sciogliendosi per la prima volta in un timido sorriso rivolto alla francese.

Sembrava proprio un bravo ragazzo, quel Leonardo. Non come Michela; no, lei proprio no. Era arrogante e tendeva a voler comandare tutti, oltre a non voler lasciare agli altri il controllo persino sulle cose che non le competevano. Neanche un'ora prima, durante la loro fuga, Charlotte aveva dovuto appellarsi a ogni briciolo della sua forza di volontà per non azzannarle la faccia e ricordarle di stare al suo posto. Aveva un profumo meraviglioso, era certa che sarebbe stata un pasto delizioso, ma la vampira non poteva lasciarsi andare ai suoi istinti in quel modo: era già successo, subito dopo essere stata liberata, e non aveva dato un bello spettacolo. Oltretutto i due maghi e l'elfo (sì, persino l'elfo) potevano esserle utili per chiudere quella faccenda una volta per tutte.

La maga tornò nel salotto reggendo il cordless nero con volto crucciato, sembrava che la conversazione non fosse andata come programmato. Con un gesto fluido lanciò il telefono a Leonardo, che l'afferrò al volo con volto stranito.

«Domani mattina alle undici ci troveremo a casa nostra,» disse Michela con il suo irritante tono da generale. «Dobbiamo discuterne con le nostre famiglie. Insieme.»

L'Attesa della SignoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora